Storia. Il diario del nazismo: Rosenberg, genio del male
Nell’aprile del 2013, un ex agente dell’Fbi, Robert K. Wittman, e un ex archivista del Museo dell’Olocausto di Washington, riuscirono a mettere le mani su un documento scomparso da oltre 60 anni: il diario di Alfred Rosenberg, supremo ideologo dell’antisemitismo durante il Terzo Reich, vale a dire la seconda autorità dottrinale del nazismo, dopo Adolf Hitler.
Lo straordinario documento, recuperato dagli Alleati, a guerra finita, in un castello della Baviera dove era stato occultato, finì tra le carte trafugate negli Usa da un avvocato statunitense che aveva collaborato nell’incriminare i gerarchi nazisti al processo di Norimberga del 1946. Robert Kempner, questo il suo nome, portò con sé, non proprio legalmente, un tesoro di fascicoli originali, che, soltanto dopo la sua morte, e al termine di una serrata caccia da parte dei più agguerriti segugi, sono stati riuniti. Mancava, tuttavia, a completare il puzzle, il diario di Rosenberg, il cui recupero ha rappresentato il coronamento di uno sforzo collettivo. Ora, a raccontare le complicate vicende di questi documenti, sono lo stesso Wittman, e il giornalista David Kinney, autori del bestseller Il diario perduto del nazismo (432 pagine, 12 euro), tradotto in italiano da Newton Compton. Rosenberg, nato nel 1893 da una famiglia di tedeschi del Baltico, fu una figura inquietante e luciferina.
Seguace di Hitler, fin dai primordi del movimento delle croci uncinate, aveva scalato le vette della supremazia intellettuale e po-litica, e il suo testo di filosofia della razza, Il mito del XX secolo, era considerato un caposaldo intoccabile e indiscutibile, che faceva sinistramente coppia con il Mein Kampf. Pare che però lo stesso dittatore con la svastica non lo trovasse personaggio gradevole, salvo poi non esitare a investirlo dei compiti più rilevanti, all’interno del regime. Gli affidò infatti un incarico dal nome altisonante, “delegato del Führer per l’educazione e la formazione intellettuale e filosofica del partito” nazista, cui si aggiungeva, fin dal 1933, quello di responsabile esteri dello stesso partito. Allo scoppio della guerra, prima di ricevere la nomina a ministro per i territori occupati dell’Est, la guida teoretica dell’antigiudaismo costituì una speciale task force, chiamata «Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg», che si occupò di razziare i beni ebraici nei Paesi assoggettati dal Reich, ma anche di depredare i tesori d’arte dei musei e delle collezioni private.
Acerrimo rivale di Joseph Goebbels, l’influente ministro della Propaganda, Rosenberg, con l’incedere del conflitto e delle sue immani devastazioni, si preoccupò di insufflare, nelle orecchie stesse di Hitler, l’assillo di procedere alla conquista totalitaria delle anime dei tedeschi, radicalizzando sempre più l’ideologizzazione dello scontro bellico, da lui considerato come una provvidenziale opportunità di imporre «una rivoluzione globale di pulizia biologica», con l’annientamento degli ebrei e di tutte le espressioni etniche considerate “inferiori”. In questo senso, non si può fare a meno di giudicare demoniaca l’ispirazione profonda di questo alfiere della barbarie: e il suo diario non fa che aggiungere prove su prove della sua complicità nel grande misfatto. Condannato a morte per impiccagione, a Norimberga, Rosenberg non mostrò alcun segno di contrizione o di ravvedimento. Morì il 16 ottobre 1946.