Abitanti della rete, ma non per occuparla. Utilizzatori delle nuove tecnologie, per stare accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, «evitando di precludersi alcuna strada pur di raggiungerli». Esperti nel dialogare con gli altri media, perché capaci di usare i linguaggi più moderni. I testimoni digitali, secondo monsignor Mariano Crociata, devono possedere queste fondamentali caratteristiche. Davanti al segretario generale della Cei ce ne sono già oltre 1200, nell’affollatissima sessione inaugurale del grande convegno che, a otto anni di distanza da «Parabole mediatiche», si è aperto ieri a Roma. Diverse altre migliaia se ne aggiungeranno sabato per l’incontro con il Papa. E dunque tra i due poli, iniziale e conclusivo dell’appuntamento, il vescovo ha il compito quasi di tracciare la rotta della navigazione.Prima di tutto. Qual è lo scopo di questo nuovo convenire? «La sollecitudine per il bene dell’uomo e della società è alla base del convegno – risponde Crociata –, per riflettere insieme sulle frontiere aperte dalla tecnologia digitale. Non è nostra intenzione occupare il Web – aggiunge – quanto piuttosto offrire anche in questo contesto la nostra testimonianza per alimentare la cultura e, quindi, contribuire alla costruzione del futuro del Paese».Se dunque si parla di internet e di ambiente digitale, è perché anche in questo ambiente vive l’uomo. Il vescovo ricorda a tal proposito la grande lezione del Convegno ecclesiale nazionale di Verona (nel 2006) con i suoi ambiti. In particolare la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, l’educazione, la sfera sociale e politica. Tutte realtà in cui «si dispiega l’esistenza umana», che divengono perciò «terreno per una adeguata comunicazione del mistero di Dio e quindi per una testimonianza missionaria».La rotta, però, deve tener conto che intorno il panorama sta cambiando. Gli stessi ambiti di vita sono «fortemente trasformati dalla cultura che nasce dal sistema mediatico». Dunque nuove sfide si intravedono all’orizzonte, così come nuove tecnologie offrono anche all’azione della comunità ecclesiale il loro «straordinario potenziale». La Chiesa italiana a dire il vero non parte da zero. Crociata sottolinea a tal proposito quanto è stato fatto nel decennio di «Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia». Innanzitutto la pubblicazione del "Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa". Quindi i media di ispirazione cattolica: dal circuito radiofonico InBlu, «pensato nella prospettiva di garantire sul territorio una voce di ispirazione cattolica» all’emittente televisiva Tv2000. Dal quotidiano Avvenire, che ha compiuto quarant’anni e si è consolidato quale «strumento culturale decisivo per i cattolici e punto di riferimento nel panorama informativo del Paese»; all’Agenzia Sir (Servizio informazione religiosa), che «ha tagliato in buona salute i suoi primi vent’anni».Il segretario generale della Cei cita anche la Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc) con oltre 180 testate aderenti e circa un milione di copie diffuse ogni settimana; le migliaia di siti internet d’ispirazione cattolica (e qui, ricorda il vescovo, «va riconosciuta la lungimiranza con la quale la Chiesa italiana ha saputo offrire alle diocesi un servizio di gestione dei contenuti Web, attraverso l’esperienza del Sicei)». Insomma una dotazione di strumenti a 360 gradi che comprende anche l’attenzione ai Webmaster cattolici italiani (WeCa), la formazione assicurata dalle Università cattoliche e pontificie, il progetto Anicec, i forum e i convegni promossi dal Servizio per il progetto culturale.Ma, prosegue Crociata, «l’ambito che ci sta maggiormente a cuore è quello locale», dove «le nostre comunità si sono attivate per valorizzare la figura dell’animatore della cultura e della comunicazione», chiamato a muoversi sia verso i credenti, per aiutarli a decifrare «il contesto socio-culturale dominato dai media», sia verso persone «estranee alla vita della Chiesa e alla sua missione».Ora però c’è un nuovo tratto di rotta da tracciare. Sarà naturalmente compito del lavoro di questi giorni. Ma intanto il segretario generale offre alcuni spunti. Primo, «la presenza di mezzi di comunicazione promossi esplicitamente dalla comunità ecclesiale non deve essere intesa in alternativa ad un impegno negli altri media». Secondo, superare il ritardo di «un linguaggio che a volte rimane ancora autoreferenziale, quasi di nicchia». Infine «mettere a fuoco, all’interno dei piani pastorali delle nostre diocesi, un progetto organico per le comunicazioni sociali, che integri queste ultime negli altri ambiti», «scongelando la figura dell’animatore della cultura e della comunicazione, per elaborare una strategia comunicativa missionaria». Testimoni digitali si diventa anche così.