Agorà

Storia. Quando Mussolini scaricò la Massoneria

Gianfranco Marcelli giovedì 22 novembre 2018

Benito Mussolini

La massoneria come “madre nutrice” del fascismo, anche da prima che il futuro Duce concepisse la fondazione del suo funesto movimento: è questa l’originale tesi che corre lungo le 200 fittissime e superdocumentate pagine di L’ingrata progenie. Grande guerra, Massoneria e origini del Fascismo (1914-1923), recente fatica di Gerardo Padulo edita da NIE (pagine 208, euro 30). Lo storico e ricercatore cilentano, con trascorsi alle fondazioni Einaudi e Gobetti, consulente tra l’altro delle Commissioni parlamentari d’inchiesta “Stragi” e “Mitrokhin”, studia da decenni il segmento cruciale della vicenda nazionale che va da Giolitti a Mussolini e, con questa sua ultima fatica edita dalla senese Nuova Immagine, segna una tappa fondamentale della sua indagine. L’autore avverte subito in premessa di avere, per così dire, “rubato” il titolo del suo saggio, attingendo allo sfogo verbale di un illustre massone, il lucano Pietro Faudella, grand commis dello Stato e deputato del Regno. Il 13 febbraio 1923, il Gran Consiglio del Partito nazionale fascista dichiarava l’incompatibilità fra iscrizione al Pnf e alla massoneria. L’indomani, Faudella parlò pubblicamente di «un atto di ingratitudine verso la massoneria in genere e verso la massoneria milanese in particolare».

Lamento rivelatore di uno stato d’animo tutt’altro che ingiustificato, come di chi assiste sconcertato a una inaspettata eterogenesi dei fini. Ed effettivamente quanti dall’alto delle 'logge' italiche avevano seguito passo passo il succedersi degli eventi, a partire dalla battaglia politica innescata dall’iniziale scelta neutralista del governo di Roma alla scoppio del primo conflitto mondiale, avevano fondati motivi di attendersi un epilogo molto diverso. Padulo ricostruisce con accuratezza la capillare strategia messa in campo dal Grande Oriente d’Italia e dalle altre sigle minori della galassia muratoria per l’entrata in guerra del nostro Paese, allo scopo di completare l’unificazione nazionale. Non si trattava certo di un’azione limitata a quello che in termini odierni definiremmo il terreno 'pre-politico'. L’autore del resto, sulla scorta di una quantità impressionante di carte e di archivi consultati, disegna la massoneria come una realtà politica a tutto tondo, sia pure sui generis. E pur correggendo il giudizio di Antonio Gramsci che la definì «il partito unico della classe borghese» – perché anche altre formazioni ne rivendicavano più o meno apertamente la rappresentanza – ne descrive con accuratezza il protagonismo a tutto campo. A cominciare, appunto, dalla potente spinta interventista sviluppata tra l’estate del 1914 e il fatale 24 mag- gio successivo. Spinta impressa forse non in modo formale e solenne, ma forse proprio per questo ancora più efficace, grazie a un lavoro incessante «di raccolta e di canalizzazione, di coordinamento e di propulsione, di coagulo e di stimolo delle forze sociali che in essa si riconoscevano e che alle sue parole d’ordine erano sensibili».

E se in quei mesi caldissimi, su 'l’Avanti!', Benito Mussolini se ne usciva di tanto in tanto con scritti, tutto sommato, moderatamente polemici per quella che definiva «l’insufficienza» della «democrazia» (termine che veniva usato correntemente come sinonimo della massoneria), era forse per prendere pubblicamente le distanze da chi lo aveva ormai individuato come la testa d’ariete più efficace per abbattere il muro neutralista. Fin da quando, tra fine ottobre e inizio novembre 1914, il deputato Giuseppe Pontremoli, grado 33° del rito scozzese, gli anticipò 20mila lire per l’acquisto della rotativa che, a partire dal giorno 15, avrebbe stampato il suo nuovo quotidiano, “Il Popolo d’Italia”. Più o meno da quel momento, marciando divisi per colpire uniti, il futuro Duce e l’antica istituzione “giustinianea” condussero in parallelo la battaglia per la guerra all’Austria. Gerardo Padulo passa poi in rassegna gli anni del conflitto e le innumerevoli iniziative associative, umanitarie e di propaganda attivate dai massoni per sostenere lo sforzo bellico e contrastare i 'disfattisti', presidiando – in sostanza – il cosiddetto “fronte interno”. E quando ormai, dopo il disastro di Caporetto, le sorti della guerra accennavano a capovolgersi, mentre Mussolini il 1° agosto 1918 cambiava la denominazione del suo giornale da “quotidiano socialista” a “organo dei combattenti e dei produttori”, il fermento della libera “mu-ratorìa”, nonostante la crisi interna causata dallo “scisma” di Bissolati, continuò in diversi modi a far lievitare un clima di rivendicazioni nazionaliste, che di lì a poco avrebbe alimentato il mito della “vittoria tradita”.

Ma l’affiancamento massonico e assai spesso la vera e propria osmosi di forze nei confronti del fascismo nascente, emergono con nettezza nel saggio, grazie all’imponente documentazione prodotta, anche dal contesto in cui maturò l’adunata milanese di piazza San Sepolcro (21-23 marzo 1919): l’autore elenca per nome una ventina di 'fratelli' regolarmente iscritti alle “Officine”, sui 52 presenti nel salone del «Circolo degli interessi industriali, agricoli e commerciali», sede notoriamente massonica. Lo stesso vale per la successiva formazione dei 'fasci di combattimento' in molte aree del Paese e infine per le azioni di contrasto violento, non di rado con la connivenza di ufficiali massoni delle Forze armate, agli scioperi – certo non meno violenti – degli operai e contadini. Un fenomeno andato avanti nonostante la rottura personale di Mussolini, entrato alla Camera nell’autunno del 1921, con i vertici di Palazzo Giustiniani (ma non con i capi dello logge milanesi), arrivando fino alla preparazione, al finanziamento e allo svolgimento della 'marcia su Roma' del 28 ottobre 1922. Il faro di luce che il lavoro di Padulo accende sullo snodo della nostra storia costituito dal decennio 1914-23 costituisce, dunque, un contributo davvero prezioso. L’immagine della massoneria che ne emerge, in fondo, ricorda un po’ quello dell’apprendista stregone, il cui disastro finale verrà però pagato da un intero popolo. E non a caso l’autore dichiara di condividere, al termine della sua fatica, l’amaro giudizio pronunciato nel 1972 da Gran Maestro Giordano Gamberini: «Se la massoneria avesse badato ad adempiere la propria missione, che è il perfezionamento degli individui attraverso la iniziazione, non soltanto non ci sarebbe stato il fascismo ma neppure la guerra che ne rese possibile il sorgere». I membri del Grande Oriente d’Italia in una fotografia del 1917, con Ernesto Nathan (primo da sinistra) eletto Gran Maestro. Sotto,