Riscoperte. Mounier e la questione della pace
Emmanuel Mounier (1905-1950)
La pace non è semplicemente «assenza di guerra armata o di sangue versato». Così scriveva Emmanuel Mounier nel suo I cristiani e la pace, dato alle stampe nel 1939, mentre Hitler imperversava. Dire che la Conferenza di Monaco «ha salvato la pace significa: i fucili non hanno sparato», annotava laconico nelle prime righe del volume, che l’editore Castelvecchi (pagine 120, euro 13,50) ha deciso ora di pubblicare in una nuova edizione con una prefazione attualizzante di Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd, e l’introduzione del filosofo Giancarlo Galeazzi. Con l’invasione dell’Ucraina decisa da Putin, in effetti, queste pagine del fondatore del Personalismo comunitario cristiano tornano, purtroppo, di strettissima attualità. Per Ceccanti, la guerra che dopo tanti anni è tornata a infiammare e terrorizzare l’Europa, oltre a «rilanciare seriamente» le riflessioni contenute nel testo «con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo», ci aiuta anche, anzi soprattutto, «a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione ». Lì, argomenta il giurista e parlamentare, «la rinuncia alla guerra prende il suo senso nella costruzione di una nuova autorità legittima chiamata a rompere il sistema delle sovranità nazionali assolute»: l’Onu quindi, fondata nel 1945, e la futura Unione Europea. Non a caso di «forme di futura unità europea» si discusse già alla Costituente, dal dicembre del 1946. Quanto poi alla decisione di «ripudiare la guerra» (e non “rinunciare” oppure “condannare”), Ceccanti riporta la spiegazione di Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, secondo il quale il verbo scelto «ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra». Nessun dubbio, dunque, sulle intenzioni dei Costituenti. È un fatto però che negli anni successivi, e pur all’interno di sodalizi internazionali, la democrazia italiana e le democrazie occidentali in generale si sono trovate alle prese con decisioni difficili: dalle due guerre del Golfo al Kosovo, dall’Afghanistan fino, appunto, all’invio di armi all’Ucraina. «Questi dilemmi si prestano male a sicurezze assolute», riconosce Ceccanti, ricordando tuttavia che «un Diritto imperfetto» come può sembrare quello delle liberaldemocrazie «è sempre meglio di alcun Diritto». Lo stesso Mounier pensava che la creazione di «una società naturale delle nazioni » fosse l’unico modo per mettere in discussione «la sovranità assoluta degli Stati che genera le guerre». Il bellicismo, per il pensatore francese, è figlio infatti della sovranità statale. Ma, allo stesso tempo, Mounier distingueva con forza «il realismo cattolico» da «una certa ideologia pacifista». E spiegava: «In un mondo in cui certi vogliono la guerra o almeno non la escludono nei loro rimedi, rifiutare ogni azione che potrebbe comportarne il rischio significa rifiutare ogni resistenza, poiché il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato. Questo rischio deve essere corso, facendo al contempo uno sforzo tanto più eroico per scongiurarlo. Dio deciderà del risultato».