Venezia 2019. Cinema in prima linea: il dramma e il coraggio di «Mosul»
Una scena di “Mosul” di Matthew Michael Carnahan, film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia
E pensare che Matthew Michael Carnahan non aveva mai diretto un film prima. Ma quando ha letto l’articolo del “New Yorker”, The desperate battle to destroy Isis, di Luke Mogelson, lo sceneggiatore di film come World War Zha deciso che quella storia era troppo importante e urgente per non arrivare sul grande schermo. La storia di un gruppo di uomini in lotta per strappare case, famiglie e città dalle mani di Daesh, la storia della squadra speciale di Nineveh composta da ex poliziotti impegnati in un’operazione di guerriglia contro il sedicente stato islamico.
Uomini che si muovono nell’ombra come fantasmi salvando persone e combattendo il nemico senza fare prigionieri e disobbedendo agli ordini, se necessario, quando questi tentano di fermare la loro avanzata nelle zone ancora occupate delle città. Uno dei due comandanti della squadra è il colonnello Rayyan, al quale hanno ucciso due dei suoi fratelli, ne hanno rapito un terzo, ucciso i suoi cognati, bombardato la casa di suo padre e sparato a sua sorella durante la sua festa di fidanzamento. Tutti i suoi uomini hanno una storia simile, eppure non hanno smesso di combattere una sola volta in cinque anni.
Basato dunque su eventi reali di una unità Swat, Mosul, fuori concorso ieri alla Mostra del Cinema di Venezia, prodotto tra gli altri da Joe ed Anthony Russo (i noti registi di molti blockbuster dedicati agli eroi Marvel) ha convinto sia per la qualità della messa in scena che per l’approfondimento dedicato alla psicologia dei personaggi e l’autenticità dei dettagli.
«Il mio paese, gli Usa, è in guerra con l’Iraq da quando avevo 17 anni – ha dichiarato il regista – e mi imbarazza confessare che, fino a quando non ho letto l’articolo del New Yorker sul quale cui si basa il film, non avevo mai pensato all’esistenza di uomini come quelli della squadra speciale di Nineveh, che combattono senza sosta, nelle condizioni più infernali, sacrificandosi affinché qualcuno possa recuperare la propria casa e famiglia. Ho chiamato subito Joe e Anthony Russo per chiedere loro se potevo non solo scrivere l’adattamento per il film, ma anche dirigerlo. Approfittando del fatto che non mi avevano attaccato il telefono in faccia e neppure riso di me, mi sono spinto altre dicendo che avrei voluto realizzare il film con un cast arabo che parlasse arabo. L’obiettivo era quello di suscitare nel pubblico lo stesso tipo di reazione che noi avevamo avuto leggendo l’articolo mostrando come la vita di queste persone può cambiare e spegnersi da un momento all’altro in un film girato nella loro lingua, con attori provenienti proprio da quella parte del mondo. Mosul è diventato il simbolo della guerra moderna e quello che di male abbiamo fatto l’uno all’altro».
Una scelta decisamente coraggiosa e insolita nel panorama cinematografico contemporaneo, che come risultato ha quello di mostrare ancora più chiaramente come “gli altri” siano sempre meno distanti da noi, costretti a compiere azioni che sceglieremmo anche noi se ci trovassimo nelle medesime condizioni.
Infatti Mohammed Al Dara Dji, uno dei produttori esecutivi, commenta: «Questo film rappresenta una straordinaria opportunità aprendo la strada ad altri film sull’Iraq. Fino ad oggi siamo stati sempre ritratti in modo negativo e questo ci ha fatto molto soffrire, ma Mosul dimostra che regalare spessore e approfondimento a personaggi raccontati sempre con grande superficialità è possibile e necessario».
Suhail Dabbach, Bilal Adam Bessa, Is’Haq Elias, Qutaiba Abdelhaq, Ahmad Ghanem, Hicham Ouaraqa, Mohimen Mahuba, Thaer Al-Shayei, Abdellah Bensaid, Faycal Attougui, Waleed Elgadi e Hayat Kamille – vale la pena citarli tutti proprio per l’unicità dell’operazione cinematografica che ha reclutato per lo più attori iracheni capaci di restituire tutta la sofferenza di quella devastazione – sono gli intensissimi interpreti del film impegnato a raccontare non solo gli orrori e il dolore della guerra in Iraq, ma ad affrontare una storia universale, quella di uomini che in circostanze eccezionali sono costretti a fare ciò che faremmo tutti per proteggere chi amiamo.
Al loro arrivo sul set gli attori protagonisti sono stati accolti in una sorta di campo militare dove hanno imparato a muoversi nel modo giusto e a usare le armi così che «lo spirito di corpo» potesse creare una squadra Swat, fuori e dentro lo schermo con l’aiuto di numerosi consulenti che hanno indirizzato nella giusta direzione il percorso emotivo di tutto il team.
«Quella raccontata da Mosul – dice Anthony Russo – è una storia che arriva al momento giusto, con un messaggio potente su cosa può accadere quando una comunità si aggrega e supera le difficoltà rimanendo unita». «Giorno per giorno – aggiunge Bessa – ho costruito il mio personaggio dando voce a qualcuno che è realmente esistito. Verità e rispetto sono state per me le parole chiave allo scopo di rendere omaggio a persone che esistono realmente, ma non hanno voce perché costrette a muoversi nell’ombra».