Calcio. Addio Sarti, l'eleganza del numero 1
«Sarti, Burgnich, Facchetti...». Questa era la filastrocca dei ragazzi degli anni ’50-’60, quelli della mitica Inter del Mago Helenio Herrera, quella dei giovani fiorentini che videro i viola vincere lo scudetto nella stagione 1955-’56. Il portiere era l’elegante e taciturno Giulio Sarti, ferrare di Castello Argile, classe 1933 che ieri si è spento all’età di 83 anni. Cresciuto nel mito del nordirlandese e quasi coscritto (1932) Harry Gregg. Sarti aveva cominciato nei dilettanti della Bondenese per poi passare alla Fiorentina di Fuffo Bernardini con la quale divenne campione d’Italia. Da lì all’Inter di Angelo Moratti con la quale divenne campione d’Europa per due volte di fila (come l’attuale Real Madrid) e del mondo tra il 1963 e il ’65. Anni nerazzurri e azzurri con la Nazionale. «Sarti era una persona squisita, era un po’ un orso che non faceva molto gruppo però era un uomo leale e un grandissimo professionista. E come portiere è stato uno dei grandi del calcio italiano, era uno dei pilastri della nostra squadra» , ricorda una bandiera dell’Inter herreriana Mariolino Corso. Un portiere regolare anche perchè non amava l’etichetta dell’estremo difensore che fa i miracoli, «il portiere forte è quello che dà continuità di prestazioni», amava ripetere. Cinquant’anni fa il giorno più brutto della sua carriera, la “papera di Mantova” («picchiai sul palo nel tentativo di evitare il gol di Di Giacomo») che costò lo scudetto all’Inter degli invincibili a vantaggio della Juventus. E in bianconero Sarti concluse la sua carriera (anche se l’addio al calcio lo diede nel ’70 all’Unione Valdinievole in serie D) andando a fare il secondo di Anzolin. Il suo addio al calcio è stato lo stesso dato alla vita, in silenzio, elegante, umano.