Parigi. Addio a Paul Virilio. Intuì che tecnica e velocità avrebbero distrutto l'umano
Paul Virilio (1932-2018)
È scomparso a Parigi Paul Virilio. Aveva 86 anni. L’urbanista e filosofo autodidatta, figlio di un comunista italiano emigrato in Francia e di una cattolica bretone, è deceduto martedì 10 settembre ma la notizia, secondo le sue stesse volontà, è stata rivelata solo dopo le esequie avvenute in forma privata ieri.
Dopo una prima formazione da maestro vetraio all’École des métiers d’art a Parigi, Virilio comincia a studiare architettura e a seguire alla Sorbona i corsi di Vladimir Jankélévitch e Raymond Aron. Negli stessi anni frequenta Henri Matisse e George Braque e poco dopo, nel 1950, si converte al cattolicesimo. «Non posso immaginare la mia vita, il mio lavoro, senza la mia conversione a Cristo, all’età di 18 anni - dichiara in un’intervista al quotidiano cattolico francese “La Croix” nel 2009 -. Questa è l’essenza della mia vita. Ciò che traggo dal cristianesimo è la grandezza della speranza».
Nel 1963 fonda con Claude Parent (con il quale firma la chiesa di Sainte-Bernadette du Banlay a Nevers) il movimento “Architecture Principe” che inaugura la tendenza dell’architettura obliqua, pronta a rompere la tradizione dell’angolo retto di matrice razionalista per introdurre il movimento nell’architettura e moltiplicare le possibilità d’uso dello spazio. Benché docente all’École spéciale d’architecture sarà la sua frequentazione di Eric Rohmer, di Gilles Deleuze, di Félix Guattari, di Jean Baudrillard, di Ivan Illich a ispirare numerosi saggi visionari dedicati all’intreccio tra tecnica e velocità, dal cui incontro è nata la dromosfera che mette a repentaglio l’integrità dell’uomo.
“Dopo i clamorosi fallimenti dei totalitarismi militari, politici, ideologici, nazionalisti... del diciannovesimo e del ventesimo secolo,
che sfruttavano fino in fondo la fusione/confusione mistica dei corpi di ciascuno con quella, smisurata e superpotente, di un corpo collettivo che vive e pensa al loro posto, l’incompiutezza individuale dipende ormai dai simulatori di prossimità (tv, web, portatili...), tanto performativi quanto i simulatori di tiro, di volo o di comportamento, che sfruttano stavolta l’impostura dell’immediatezza” scriveva Paul Virilio nel 2002 in L’incidente del futuro.
Estetica della sparizione, Velocità e politica, Lo schermo e l’oblio, La bomba informatica, L’incidente del futuro, Città panico, L’arte dell’acceccamento e il non tradotto Le Grand Accélérateur sono tappe di un cammino invidiato dai filosofi di mestiere che porta Virilio a dire quanti altri faticano a intuire.
Pochi, al pari di Virilio, infatti sono stati capaci in questi primi anni del Ventunesimo secolo di scrutare l’accadere della storia con occhi disincantati e coglierne il cambio di registro rispetto al passato. Mentre altri, accecati dai furori del Novecento, s’accaniscono su simulacri in decomposizione il filosofo francese si accorge che il matrimonio tra tecnica e velocità avrebbe creato una tale instabilità da divorare spazio e tempo e lasciare l’uomo in balia dell’incompiutezza. “Pericolosa banda di nani afflitti da gigantismo, gli adepti del Progresso - ammonisce ancora in L’incidente del futuro - avrebbero abbracciato una concezione del Mondo scientificamente ingenua dove il positivismo sarebbe diventato un nichilismo mascherato”.
Allora “la distribuzione anarchica delle tecniche di rappresentazione - anticipando nel 1993 in Lo schermo e l’oblio il mito odierno della perpetua connessione - porterà all’implosione del mondo visibile che era il regno dell’opinione pubblica” e renderà “l’informazione il solo rilievo della realtà” capace di rendere “l’uomo un uomo-bersaglio continuamente sovreccitato la cui unica salvezza risiede nella fuga davanti alla realtà del momento”. Ecco che “in un’epoca in cui l’ideologia dell’interattività sovrana rende la nostra visione del mondo più teleoggettiva che oggettiva - si chiede Virilio in L’arte dell’accecamento - come persistere nell’essere? Come opporre una resistenza efficace alla repentina derealizzazione del mondo?”. È questa domanda radicale che Paul Virilio lascia in eredità a chi, tra i declamati filosofi di oggi, saprà raccoglierla.