"Ciao, andate avanti!". Mario Lodi li ha salutati così gli insegnanti, i genitori e gli amici che da anni si appoggiavano a lui come un punto fermo. In quelle tre parole semplici l'eredità di un impegno collettivo da continuare, una strada già segnata da percorrere con forza e speranza. Due virtù che certo non difettavano al maestro, morto a 92 anni domenica a Drizzona, due passi da Piadena, nella Bassa Cremonese, dove da oltre vent’anni con l’aiuto della figlia Cosetta dirigeva il Centro delle arti e del gioco, grande laboratorio di creatività, centro di studio dei linguaggi dell'uomo. Ma anche a una manciata di chilometri da Vho, dove era nato nel 1922 e dove aveva insegnato per una vita. Classi piene di figli di contadini, mezzadri, gente semplice e più che povera. I padri glieli portavano sottraendoli al lavoro dei campi, raccomandandogli di non lesinare le botte perché, dicevano, erano lavativi e qualche sberlone non poteva fare che bene. Ma lui della scuola aveva tutta un'altra idea. Gli piaceva ricordare di essere nato l'anno della Marcia su Roma e di essersi diplomato il giorno in cui l'Italia entrava in guerra. Tempi grami, di retorica e autoritarismo. Poi, quando finita la guerra aveva cominciato a fare il maestro, si era trovato disorientato e impreparato. Immaginate, raccontava, noi che arrivavamo da una scuola fascista, dove avevamo imparato a suon di bacchettate ad attaccare le figurine del Duce sul quaderno....Il Paese invece stava cambiando, erano nate la Repubblica e la Costituzione. La democrazia esigeva nuove parole e nuova pedagogia. Così Mario Lodi, i cui funerali si svolgeranno martedì 4 marzo, alle ore 15, nella chiesa di Drizzona, celebrati da don Sandro Lagomarsini, un caro amico del maestro, fu tra quelli che una scuola diversa la disegnò davvero. E da sé, giorno dopo giorno, studiando e sperimentando quelle teorie ispirate alla pedagogia popolare di Célestin Freinet, confrontandole con gli amici del Movimento di Cooperazione educativa. Aveva capito che occorreva istruire, certo, ma soprattutto educare i cittadini alla nuova democrazia. E che era finito il tempo della pedagogia punitiva. Della sua scuola del fare e della democrazia -con la cattedra messa da parte, la pedana trasformata in piazzetta delle pubbliche manifestazioni e i banchi in circolo, da dove i bambini si guardano in faccia, si conoscono e discutono - restano testimonianze uniche in due libri indimenticabili, "Il paese sbagliato", diario di cinque anni di scuola dal 1964 al 1969, centrato sulla libera espressione della creatività e "C'è speranza se questo accade al Vho", resoconto dei primi anni di insegnamento pubblico, pubblicato nel '63. Niente a che vedere con la scuola facile in cui si fa quel che si vuole. Quella di Mario Lodi era la scuola delle regole, delle mani alzate per parlare, del dubbio e delle ricerche, del diritto dei bambini a far sentire la propria voce. Del rispetto e della gentilezza. Ci mancherai, Mario Lodi. Arrivederci, maestro!