Il suo nome è indissolubilmente legato al
cinema d’inchiesta, quello che fiorì in Italia negli anni Sessanta. E fu proprio il suo
Salvatore Giuliano, realizzato con ostinazione e coraggio superando ostacoli e difficoltà di ogni tipo, a cambiare radicalmente nel nostro paese l’approccio al cinema politico influenzando il lavoro dei più grandi registi dopo di lui. Indiscusso maestro del cinema italiano,
Francesco Rosi si è spento questa mattina a Roma all’età di 92 anni. Nel 2012 La Biennale di Venezia gli ha consegnato il Leone d’Oro alla Carriera e contemporaneamente il regista napoletano si era “confessato” a un suo collega,
Giuseppe Tornatore, autore di un bellissimo libro-conversazione dal titolo Io lo chiamo cinematografo. Tutti i segreti e le emozioni della sua grande avventura sono contenuti in quel volume, a cominciare dalla fotografia scattatagli dal padre ispirandosi a Jackie Coogan, il
Monello di Chaplin. Nato a Napoli ma trasferitosi a Roma nell’immediato dopoguerra, appassionato di teatro e letteratura, ma affascinato anche dalla settima arte, Rosi capì che il cinema sarebbe diventato il suo mestiere quando
Luchino Visconti lo chiamerò sul set come assistente. Il suo primo film è
La sfida, del 1958, ma è con
Salvatore Giuliano (Orso d’Oro al Festival di Berlino) che Rosi definisce le coordinate del suo cinema, seguito successivamente in altri capolavori come
Le mani sulla città (Leone d’Oro al Festival di Venezia),
Il caso Mattei (Palma d’Oro al Festival di Cannes) e
Lucky Luciano, diventando il caposcuola di un’estetica della realtà che con lui tocca vette mai raggiunte prima. Attento ai mutamenti della nostra società e all’evoluzione del costume, scrupoloso indagatore dei luoghi oscuri della politica, Rosi ha lavorato con i più importanti intellettuali, giornalisti, artisti e critici del nostro paese come
Ennio Flaiano, Sergio Amidei, Raffaele La Capria, Federico Fellini, Roberto Rossellini. È stato lui a fare di
Gian Maria Volonté una star grazie a
Il caso Mattei e
Lucky Luciano. Poi vennero
Cadaveri eccellenti con
Max Von Sydow e
Tre fratelli con
Michele Placido, Vittorio Mezzogiorno e Philippe Noiret. Nel 1997 a 75 anni realizza il suo ultimo film,
La tregua, con
John Turturro, tratto dal romanzo di
Primo Levi, un progetto al quale si era dedicato molti anni prima ma che aveva abbandonato dopo il suicidio dello scrittore. Infine il ritorno al teatro, con alcune commedie di Eduardo, e alla sua Napoli, dove tutto era cominciato, non lontano da quel mare che tanto amava.