L'addio. Che eredità lascia Akira Toriyama, il papà del fenomeno Dragon Ball
Più di un semplice mangaka, che in giapponese sta per fumettista, Akira Toriyama era un’istituzione, un genio indiscusso nel suo campo e un maestro per centinaia di autori che grazie alla sua opera hanno tratto ispirazione e coltivato passione per un’arte ancora oggi considerata da molti “minore”. La notizia della sua morte a 68 anni è arrivata oggi (pur essendo deceduto il primo marzo per un ematoma subdurale al cervello), e ha lasciato un profondo senso di malinconia in tutti suoi fan, assieme alla certezza di un’eredità indelebile per sempre a disposizione dei milioni di ragazzi che vorranno farne tesoro.
Per chi è nato nei primi anni ’80, Dragon Ball, la creatura più famosa di Toriyama, resta un caposaldo, specie nella sua versione originale, il fumetto, perché libera dai maldestri adattamenti che il cartone subì quando fu trasmesso in Italia (non nella patria d’origine), con discutibili cambi di nome dei personaggi e censure inopportune di scene forse un po’ osè, ma mai, volgari o troppo violente per la sensibilità europea. Del resto, il target giapponese di quegli anime (serie animate made in Japan), non corrisponde a quello a cui in genere vengono indirizzati in Italia. E proprio per questo gli appassionati italiani di manga (i fumetti giapponesi appunto) sentivano di essere parte di un gruppo di fan più autentici, quasi elitari. Quelli che amavano tenere tra le mani un albo da leggere “al contrario” (proprio così, perché anche nella versione italiana le pagine venivano ordinate da destra a sinistra), e che attendevano impazienti l’uscita del nuovo numero già prenotato in fumetteria (le edicole fiutarono il business solo più tardi). I volumi di Dragon Ball uscirono da noi nel 1995, ben 11 anni dopo la loro prima edizione nipponica, segno che soltanto l’enorme successo di vendite arrivato dopo la chiusura della serie originaria (sempre nel 1995) convinse la Star comics (l’editore nostrano) che fosse davvero il caso di puntarci qualcosa. Una scommessa vinta, peraltro, per un prodotto capace di vendere 260 milioni di copie in tutto il mondo, rendendo le avventure di Goku e compagni una pietra miliare, senza contare il merchandising. Il cartone, che da noi hanno potuto amare almeno due generazioni e che ancora adesso terrebbe incollati milioni di ragazzini davanti al televisore, ha fatto il resto, proiettando la serie nell’Olimpo della produzione animata nipponica, assieme a più anziani classici come Goldrake (Ufo Robot) e Mazinga. Termini come Sayan (la razza aliena da cui discende il protagonista di Dragonball) si trovano ormai in centinaia di testi di canzoni o libri e sono entrati nell’uso comune come metafora di potenza.
La storia di Dragon Ball, poi, è quantomai attuale e chi, come chi scrive, l’ha vissuta da giovane adolescente e ha ora la fortuna di essere diventato papà, difficilmente eviterà di proporla al proprio figlio. Goku, il protagonista, è un alieno accolto nel nostro mondo grazie all’affetto di un vecchio maestro di Kung fu e poi diventato paladino di quello stesso pianeta che nelle intenzioni della sua razza originaria avrebbe dovuto distruggere. Insomma, perché no, una sorta di migrante che diviene risorsa, come i tanti di cui spesso raccontiamo nelle pagine di questo giornale. C’è poi la motivazione e la passione a fare da filo conduttore del fumetto: Goku ama le arti marziali sopra ogni cosa e a ogni combattimento che lo riduce in fin di vita diventa più forte, si allena sempre di più e non perde mai occasione per sfidare i propri limiti. Un esempio perfetto per qualunque ragazzo in difficoltà, nella vita, nella scuola o nelle relazioni sociali. Da bambino, invece, è un sempliciotto, incapace di vedere il male in chiunque e proprio per questo in grado trasformare la malignità altrui in emulazione della sua purezza (accade a tanti compagni di strada che incontra nelle sue avventure).
Per questo, si diceva, che è la malinconia la sensazione dominante per la dipartita di Toriyama e non la tristezza, pur nella consapevolezza che avrebbe potuto dare molto di più. E anche se in Dragon Ball, grazie alle famose sfere del Drago, esiste la possibilità di risorgere dalla morte, la storia di Goku insegna che l’importante è dare il massimo finché si è vivi, perché in qualche modo si lascia una presenza eterna nei cuori di chi ci ha voluto bene. Ci sarebbe tanto da dire, da rievocare e da commentare sulla morte di Toriyama e sulla sua opera (qui ci siamo concentrati sul suo più grande successo e su qualche ricordo personale), ma chi ne ha seguito le vicende conosceva anche la sua grande riservatezza. Non amava il grande pubblico, pur potendolo vantare, e preferiva far parlare le sue creazioni, come molti, troppi artisti in qualunque campo non sembrano più in grado di fare. E allora, con altrettanta riservatezza, chi lo ha amato farebbe bene a rileggerlo e farlo rileggere, senza darsi a troppe elucubrazioni o preoccupazioni per come ciascuno deciderà di ricordarlo. Immaginiamolo lì, assieme ai suoi personaggi, a mangiare i suoi piatti preferiti (la buona cucina è un altro must delle sue opere), a parlare di arti marziali e a sognare un mondo migliore come quello che i suoi eroi hanno sempre cercato di difendere.