Musica. Moro in cerca di pace
Fabrizio Moro pubblica l’album “Pace” che contiene il brano di Sanremo “Portami via”
«Cerco solo il modo di trovare la pace che non ho» canta graffiando le corde vocali Fabrizio Moro. E proprio Pace si intitola il nuovo album dell’artista che all’ultimo Festival di Sanremo ha dedicato l’intenso brano Portami via a sua figlia «che mi ha aiutato ad uscire da un momento molto particolare della mia esistenza. Credo che l’amore sia l’unica cosa che salva un uomo» ci spiega l’artista romano. Un’anteprima del tour si avrà il 20 aprile a Milano, poi il via il 26 e 27 maggio dal Palalottomatica di Roma per un viaggio in 25 città italiane. Per proporre un disco che è una riflessone molto personale sulla propria vita, fra ballate, rap e rock. Quarantadue anni, cresciuto in borgata, nel quartiere San Basilio, figlio di genitori calabresi, Moro è stato capace di riscattare la sua timidezza studiando cinema e televisione all’Istituto “Roberto Rossellini” di Roma, imparando anche a suonare la chitarra, il basso e il pianoforte da autodidatta. E a scrivere canzoni che guardano dritto in faccia la nostra società, dal brano antimafia Pensa che gli fece vincere la sezione Giovani di Sanremo nel 2007 a Fermi con le mani sul caso Cucchi. Nel mezzo, la conduzione televisiva di Sbarre di Rai 2, il primo docu-reality girato all’interno del carcere di Rebibbia.
Fabrizio Moro come mai adesso guarda se stesso?
«Ogni canzone rappresenta una piccola parte della mia storia e della mia personalità. È un album che parla molto di me, rispetto al passato in cui raccontavo il contesto sociale in cui stavo vivendo. Parlo delle mie insicurezze, le mie gioie, le mie amarezze, e dell’amore per i miei figli, Libero di 8 anni e Anita di 3».
Ricorre molto spesso, però, la parola paura. Come mai?
«È la visione di come vivo la mia quotidianità in questa era. Ho ancora bisogno di darmi delle conferme esistenziali. La nascita di mia figlia mi ha reso più forte nel mio lavoro e nel mio percorso di vita, ma anche più vulnerabile e fragile. Sarà l’età che avanza e che ti rende molto più sensibile...».
Eppure ne “L’essenza” lei canta : «L’essenza di un uomo rimane la stessa, per quanto la vita lo spezza».
«Ogni cosa si interrompe nella vita: l’amore, l’amicizia, i sensi... Ci sono dei momenti in cui non senti nulla. Però l’essenza primordiale, la radice di ogni uomo non si spezza mai e dovremmo ricordarci più spesso di ripartire da lì per costruire quello che saremo».
Lei è uno degli autori italiani più richiesti, ma anche un esempio che ci sono persone che sanno scrivere canzoni in Italia.
«In questo momento sono usciti tanti bravi cantautori dal panorama “indie”, c’è un fermento importante con un grande seguito. Io continuerò a scrivere, specie per le interpreti femminili. Mi rivedo molto nelle donne, non so perché. Ho collaborato con Emma, la Mannoia e Noemi e, una vera rivelazione come interprete, l’attrice Bianca Guaccero. Sono donne forti, hanno voci intense che stanno sulle mie corde.».
“Giocattoli” invece parla del Fabrizio bambino.
«Attraverso gli occhi di mio figlio rivedo me stesso. Quando lo accompagno in un negozio di giocattoli, mi rivedo quando mi ci portava mio papà. Mi diverto più io che mio figlio perché lo posso rendere molto più felice di quanto poteva fare mio padre, poverino, che era operaio e che ha faticato tanto per darmi ciò che poteva».
Com’era il Fabrizio ragazzino cresciuto in quella periferia da lei tante volte cantata?
«Ero un bambino molto chiuso, molto introverso, cresciuto in un contesto in cui l’ultima cosa che dovevi fare era essere chiuso e introverso. Attraverso le prove che la vita mi ha messo davanti, sono diventato un uomo abbastanza forte. Ci sono delle cose che mi rendono fragile, come ho detto, ma per il lato pratico della vita non sono una persona che si spaventa facilmente ».
Quanto è importante raccontare in una canzone certe realtà difficili?
«Se le cose non le vivi in prima persona, non riesci neanche a scriverle. Se non cresci in quei contesti, non riesci a raccontare quei personaggi. Come nel brano La partita nel mio penultimo disco, dove ho raccontato la realtà degli ultrà. Una realtà che vivo ogni giorno perché vengo da un ambiente di ultrà, pur essendo io una persona che non frequenta lo stadio. Tutti i miei amici, i miei fratelli ed io siamo cresciuti in un ambiente dove la passione per il calcio vissuta in quel modo diventa una ragione di vita. Io sono un tifoso generico, non tengo per una squadra. Quindi quando c’è il derby a Roma non soffro mai. Chi vince vince».
Sempre dalla parte delle persone ai margini c’è anche il video di “Portami via” ambientato in un carcere...
«È la metafora del senso della canzone, ovvero che l’amore abbatte ogni confine e ogni muro. Un video azzeccato che è in linea con il mio modo di agire e di pensare. Suono spesso nelle carceri, ed è un’emozione fortissima. Ho notato un’attenzione talmente intensa che non ho trovato nei miei concerti fuori, dove la gente va per divertirsi e stare in compagnia. Invece in carcere la gente sta ad ascoltare con particolare intensità quello che stai dicendo. È quasi imbarazzante. Il mio sogno è fare un vero tour nelle carceri. Lo faccio per me».