Una doppia festa per Oscar, una singolare coincidenza: nel pomeriggio mamma Wanda (Octavia Spencer) spegne le candeline per il suo compleanno, nella notte il cielo di Oakland, in California, s’illumina dei fuochi artificiali per il Capodanno, aspettando l’ingresso nel 2009. Che per Oscar, di ventidue anni, non ci sarà. Colpa di un proiettile sparato proprio quella notte di spensierata felicità da un poliziotto bianco in preda ad un’incontrollata violenza nella stazione della metropolitana di Fruitvale, infilatosi nella schiena del ragazzo afroamericano ritenuto colpevole di una piccola rissa. Un nuovo ed esecrabile gesto indotto da un inassopito razzismo, seguito da proteste, pianti, rassegnazione e una facile assoluzione per il criminale. Ryan Coogler ha scritto di suo pugno e diretto
Prossima fermata Fruitvale Station (Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival dello scorso anno) senza un solo cenno di sentimentalismo, evitando qualsiasi dichiarazione di accusa, rimanendo coerentemente legato ai fatti di cronaca accaduti in quell’ultima, ordinaria giornata di vita di Oscar. Interpretato da Michael B. Jordan (prossima Torcia Umana nel reboot dei
Fantastici Quattro, in sala nel giugno 2015), attore di calibro che ha sentito un’enorme responsabilità nell’assumere questo ruolo: «E anche un privilegio, perché significava rendere giustizia a un ragazzo innocente. Certo, un uomo non perfetto, ex-spacciatore, nel film scopriamo tutti i suoi difetti. Ma finalmente lo conosciamo per ciò che veramente era: un padre innamorato della sua bambina, lui stesso un figlio legatissimo alla famiglia, alla compagna e agli amici. Una storia difficile, ma il cinema è il mezzo più potente per raccontarle e ci dà sempre motivi per pensare ed elaborare. Questo è un piccolo film, ma tocca il cuore di tutti, perché ha una risonanza particolare, concentrandosi sulla perdita tragica di una persona senza colpa». Costato 900.000 dollari e girato in venti giorni per raccontarne uno solo,
Fruitvale Station ha il prego di rimanere equidistante dal documentario e dalla fiction: assume i rigori dell’uno (inizia proprio con il materiale girato dai telefonini di chi ha realmente assistito alla scena in quella stazione) e la passione narrativa della seconda. Genera pertanto un’empatia densa e una nuova presa di coscienza per la fragilità della vita umana e l’assurdità delle forme che la negano e la sopprimono. E il timore di essere, in ogni istante, vittime dirette o indirette «perché la vera natura della tragedia di
Fruitvale Station – precisa Coogler – risiede in chi era vicino a Oscar, in chi lo conosceva meglio». La piccola Tatiana, rimasta orfana, oggi una bella ragazza, che prega per il padre nelle ultime immagini reali, è anche il segno profondo di una grande dignità.