Il periodo milanese. Montini: tra Chiesa e mondo confronto e chiarezza di fede
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Docente di Storia contemporanea alla Cattolica di Milano, Giorgio Del Zanna ha appena pubblicato per il Mulino il volume Montini a Milano 1954-1963 (pagine 352, euro 28,00) che, sulla base di un’ampia documentazione, ricostruisce l’idea e il progetto pastorale del cardinale arcivescovo Giovanni Battista Montini negli anni in cui Milano, sotto la spinta di una tumultuosa modernizzazione e industrializzazione, conosce una profonda trasformazione socioculturale. Proponiamo un’ampia sintesi dell’introduzione al libro firmata dallo stesso autore, che mette a fuoco la totalità dei contenuti del saggio.
Giovanni Battista Montini è stato tra le personalità italiane più significative del Novecento. Da papa, Paolo VI ha operato intensamente per la riforma della Chiesa e per la sua apertura al mondo sulla scorta degli impulsi provenienti dal Concilio Vaticano II di cui fu tra i protagonisti. In questo quadro, l’episcopato a Milano rappresenta un momento cruciale dell’itinerario montiniano. Occorre, però, far emergere l’episcopato milanese nella sua specificità. Nel contesto occidentale, Milano fu indubbiamente un laboratorio per il suo carattere di grande città industrialmente avanzata segnata da una tradizione religiosa viva e protagonista, nel quale Montini fece esperienze nuove, a contatto con realtà sconosciute che suscitarono in lui alcune idee e convinzioni portate in seguito a maturazione.
La vicenda di Montini a Milano coincise con l’incontro tra un importante vescovo cattolico e una delle principali metropoli industriali dell’Occidente. Per Montini la città fu la frontiera da cui prese forma il suo progetto pastorale, che è al centro di questo libro. A Milano vi fu la scelta decisa di immettere la Chiesa nei flussi vitali della città, uscendo dalla logica del “baluardo” che rischiava di relegare la Chiesa sulla difensiva, senza incidere sulle vicende dei milanesi.
Montini intuì la crisi in atto che, dietro la parvenza dell’“egemonia cattolica”, evidenziava, soprattutto nei grandi contesti urbani, l’allentamento della vita religiosa. Sullo sfondo era la grande trasformazione urbana, sociale e antropologica che stava progressivamente modificando mentalità e comportamenti degli italiani. Seppe cogliere, nel quadro di una crescente “irreligiosità”, il permanere nella popolazione di un substrato di fede che occorreva rianimare, avvertendo come ci fosse un problema innanzitutto spirituale e pastorale, prima ancora che politico, da affrontare con spirito innovativo, portando la Chiesa fuori dai recinti abituali verso persone e realtà “lontane”, a cominciare dalle fabbriche e dalle tante periferie che caratterizzavano Milano e il suo hinterland.
La città, sempre più frammentata e divisa, doveva trovare una via per ricomporsi attraverso il recupero della dimensione spirituale, la sola capace - secondo Montini - di ridare un senso alle esistenze individuali rivitalizzando il tessuto collettivo. Da qui la riflessione sul “senso religioso” – oggetto della lettera pastorale del 1957 – e la grande Missione cittadina del 1957, intesa come un’ampia esperienza di comunicazione di un messaggio spirituale semplice e diretto, con cui la Chiesa di Milano si rivolse alla città nel suo insieme con una proposta al tempo stesso religiosa e civile.
Nel progetto pastorale montiniano, la risposta alla crisi dovuta alla diffusa “irreligiosità” era la missione che comportava una diversa comunicazione della fede, attraverso l’avvicinamento e uno sguardo di “simpatia” della Chiesa nei confronti dei contemporanei. Da questa estroversione doveva venire un cambiamento di atteggiamento, di strumenti e di strutture all’interno della Chiesa ambrosiana. La missione, cioè, si poneva come premessa alla riforma e non viceversa, una questione che, in termini simili, si sarebbe imposta anche all’interno del dibattito conciliare. In questa prospettiva “missionaria”, si chiarisce anche l’impegno di Montini per la liturgia e il cosiddetto “piano Montini” per la realizzazione di nuove chiese a Milano.
Gli anni che seguirono la grande Missione di Milano furono occupati soprattutto dalla fase preparatoria e dall’inizio del Concilio Vaticano II. A fare da sfondo all’audace e inattesa proposta di papa Giovanni XXIII era la consapevolezza che il mondo stesse diventando sempre più interdipendente. La convinzione del papa – condivisa anche da Montini – era che solo le forze spirituali sarebbero state in grado di dare unità a un mondo politicamente diviso dalla guerra fredda, anche se erano presenti nei due blocchi visioni differenti riguardo a come perseguire tale obiettivo: per papa Roncalli, la Chiesa doveva proiettarsi in modo cordiale verso le tante espressioni del mondo contemporaneo, sviluppando tendenze “unitive”, mentre Montini propendeva per rafforzare l’autocoscienza della Chiesa, la cui unità istituzionale attorno al papa rappresentava ai suoi occhi la matrice per l’unificazione del mondo.
Con queste convinzioni l’arcivescovo di Milano cominciò a prendere parte alla fase preparatoria del Concilio Vaticano II, anche se nel corso del tempo andò mutando alcune delle sue posizioni, in seguito soprattutto ai viaggi compiuti in Brasile, nel 1960, e in Africa, nel 1962. Il contatto diretto con realtà segnate dalla miseria e da profonde ingiustizie sociali, ma anche l’esperienza di Chiese giovani, vivaci e più libere dal senso di crisi che gravava sul cattolicesimo europeo, insieme all’incontro con altre culture, confessioni ed espressioni religiose, rimescolarono in qualche modo molte convinzioni di Montini, il quale andò maturando sempre più l’idea che la Chiesa avrebbe guadagnato consapevolezza della sua identità solo in un confronto continuo e vitale col mondo, tenendo insieme, in una difficile sintesi, chiarezza dottrinale e slancio missionario, autenticità di vita e apertura all’altro, annuncio e dialogo.