Agorà

reportage. Dove il Rosa domina sul Sacro Monte

Edoardo Castagna venerdì 25 gennaio 2013
Ai margini dei grandi itinerari della storia, nei secoli la Valsesia ha sviluppato una propria civiltà, modesta ma solida. E radicata: i suoi tratti contadini e montanari sono ancora oggi visibili sotto il manto della modernità. Forse la meno nota delle valli del Monte Rosa, incuneata tra la Val d’Aosta, a ovest, e la Val d’Ossola a est, la Valsesia a differenza di queste è una valle chiusa: dopo Alagna, l’ultimo paese, non c’è più nulla se non la candida massa del Rosa, con la straordinaria Capanna Margherita, il più alto rifugio alpino d’Europa, in equilibrio sul crinale della punta Gnifetti a quota 4.559 metri s.l.m. Non è una valle di transito, quindi, e questo le ha consentito di crescere appartata, solo però apparentemente dimessa; l’architettura dominante è quella semplice dei contadini di montagna, baite di legno e pietra con i tetti di lose, chiesette a intonaco sempre porticate, per proteggersi dai rigori di inverni lunghi e gelidi. Verde, verdissima, è incuneata tra monti che, da Varallo in su, lasciano poco spazio allo sviluppo di campi e paesi. Di vitalità economica ce n’è stata solo in bassa valle, con industrie meccaniche e soprattutto tessili; oggi ne sopravvivono poche, quelle che si sono specializzate in prodotti d’alto pregio (al pari dei vicini tessuti biellesi) in grado di competere sul mercato internazionale del lusso. Il turismo qui è d’antica data, ma solo negli ultimi anni ha preso il via in modo decisivo; non mancano nemmeno qui moderne costruzioni che stridono e a volte oscurano l’antico volto dei paesi, ma restano relativamente contenute. Al tradizionale turismo da villeggiatura estiva, testimoniato da alcune splendide ville tardo ottocentesche-primo novecentesche, si sono con il tempo affiancati il turismo invernale dello sci (Mera, Alagna) e, recentissimo, quello sportivo del kayak (esploso con gli Europei del 2001 e i Mondiali del 2002), per il quale sono ideali le acque torrentizie del Sesia. Già, il Sesia: se in pianura, a Vercelli (capoluogo di provincia lontano e avvertito come estraneo dai valsesiani, peraltro in diocesi di Novara), il fiume è femminile, in valle è maschile. D’altra parte, tanto è muscolare, spumeggiante in altura, quanto è pigro e dolce nel piano. La valle inizia dove il fiume diventa maschile, a Gattinara, terra di vini di gran nome, e poi risale fino a Borgosesia, l’attuale centro di riferimento economico-amministrativo, e quindi a Varallo, lo storico capoluogo della valle. Bel borgo dai tratti tipicamente sabaudi, sobri ed eleganti, sfoggia con orgoglio alcune chicche artistiche non consuete, in centri montani: come il ricco Sacro Monte, con una basilica e quarantacinque cappelle affrescate e popolate da oltre ottocento statue di terracotta policroma a grandezza naturale. Qui hanno lasciato la loro mano artisti come Gaudenzio Ferrari, Bernardino Luini, Tanzio da Varallo. Di Gaudenzio Ferrari la chiesa di Santa Maria delle Grazie, nel centro del borgo, ospita uno spettacolare tramezzo affrescato. Superata Varallo la Valsesia si ramifica; il corso principale piega verso Occidente e il paesaggio assume tratti marcatamente alpini. I paesi si allineano lungo lo stretto fondovalle, cinti da brevi tratti di campi, mentre subito s’innalzano vette erte, fittamente coperte di boschi. Risalirle è una fatica, che viene però ampiamente ripagata dal fascino degli alpeggi: punteggiati di baite, ricchi di pascoli in dolce declivio, laghetti, macchie odorose. E, non appena si alza la testa, la candida mole del Rosa, sempre vicina eppure remota, ma imprescindibile punto di riferimento.