Agorà

Reportage. Guardare il futuro dalla cima di una montagna di carbone

Daniele Zappalà venerdì 4 giugno 2021

Sulla cima dei terrils di Loos en Gohelle

Fra queste lande, è avvenuto qualcosa d’enorme. Ma di ciò che milioni di minatori hanno strappato al sottosuolo per un quarto di millennio, fra il Settecento e il 1990, restano adesso soprattutto dei cumuli. Cumuli di ricordi, foto e oggetti del mestiere più duro, reiterato fra gallerie e cunicoli di giganteschi formicai gonfi di sudore mescolato al carbone. E gli alti cumuli, lungo un centinaio di chilometri, che compongono la catena dei terrils. Queste colline artificiali di residui minerari bruno-rossicci che si stagliano all’orizzonte, talora imponenti, fra le folate di vento dell’estremo Nord francese, attorno alla storica pentapoli carbonifera di Béthune, Lens, Arras, Douai e Valenciennes.

Cosa fare dei terrils? A lungo, è stato un rebus, sullo sfondo della dolorosa transizione post-mineraria. Fin quando s’è accesa una lampadina, rimettendo in moto l’intero ex bacino del carbone. Il mondo cambia, si sa. Ma c’è forse un solo paesaggio in Europa in cui questo cambiamento s’offre ancora nitido allo sguardo. Proprio il paesaggio dei terrils, divenuto non a caso nel 2012 uno sterminato museo a cielo aperto, dopo l’iscrizione nel Patrimonio dell’Umanità Unesco.

Quasi un decennio dopo, in questo giugno di riapertura per i luoghi culturali in Francia, è la costellazione di scarti minerari a sorprendere il Paese con la prima edizione d’una kermesse di grande originalità, intitolata “Upernoir”. Fra mostre, spettacoli, allestimenti nei quartieri popolari, visite guidate, invenzioni ad hoc di design e sul fronte culinario, dibattiti con filosofi e intellettuali, itinerari culturali proposti a viandanti e ciclisti, gli appuntamenti ruotano simbolicamente per un mese attorno a una valorizzazione estetico-creativa del nero. Il nero del carbone è reinventato creativamente per non restare l’eterno emblema d’un trauma post-industriale.

“Il nero è la nostra storia. Il nero è la nostra fierezza. Il nero è la nostra energia. Il nero è il nostro colore”, recita il manifesto della kermesse, fino al 27 giugno. Più che un festival tradizionale, una generosa convergenza d’energie creative, una lezione sulla difficile arte d’uscire dai tunnel, senza per questo rinnegare ciò che si è. In effetti, dopo anni di sforzi e investimenti, i terrils non sono più solo un’eredità eccezionale del mondo che fu, ma anche un crogiolo di simboli proiettato verso il futuro. Al punto che l’autorevole “Le Monde” ha appena inserito i terrils fra le proprie destinazioni ideali di viaggio in Francia.

La sede del Louvre-Lens, progettata dallo studio SANAA e aperta nel 2012 - Frederic Iovino

Un territorio divenuto appetibile anche da quando a Lens, sempre nel 2012, è sorto un “secondo” Louvre. A Loos-en-Gohelle, proprio a ridosso di Lens, i due terrils gemelli panoramici ricevono 150mila visitatori l’anno e sono stati scalati pure dal presidente Emmanuel Macron. Non molto lontano, ai piedi del terril di Oignies, è sorto nel 2013 lo spettacolare Métaphone, un edificio ricoperto di “pelle sonora” ottenuta con lastre di legno, vetro e acciaio. Grazie a strumenti incorporati nella struttura, selezionati ispirandosi ai vecchi suoni delle miniere, il cubo magico permette ai compositori di cimentarsi in un’esperienza creativa unica.

Dappertutto, poi, i terrils sono colonizzati da una flora e fauna specifiche, anche per via del suolo che accumula calore, generando un microclima. Una biodiversità stupefacente studiata dai naturalisti. Ad Haillicourt, scopriamo che il versante sud del terril è coltivata a vigna, dando un bianco ironicamente chiamato “Charbonnay”. Fra Valenciennes e Douai, sul terril di Rieulay, brucano invece le capre di specie minacciate reintrodotte dopo la scoperta del felice ambientamento degli animali. Fra i terrils, s’organizzano competizioni podistiche di trail running. Anche così e in tanti altri modi, si estrae ogni giorno linfa simbolica dalle nere montagnole per far ripartire su nuovi binari un territorio ancora ferito dalla disoccupazione.

Vendemmia sul terril di Haillicourt - Pidz

Per ragioni storiche, la rinascita dei terrils francesi può apparire ancor più pregna di senso agli occhi dei visitatori italiani. L’epopea delle gueules noires (musi neri), come venivano chiamati i minatori, coinvolse ben trenta diverse nazionalità, con l’arrivo pure d’italiani, principalmente da Friuli, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Marche. Nel 1926, i minatori italiani nell’estremo Nord francese erano oltre 5mila, prima di nuovi arrivi soprattutto fra il 1945 e i primi anni Sessanta. Date le condizioni massacranti di lavoro, il turnover fu forte.

A Lewarde, negli impressionanti spazi museali del Centro storico minerario, consultiamo i bollettini, le foto, i ritagli di giornale e diverse altre tracce di quell’Italia che accettò di calarsi (come nel vicino Belgio) sotto la superficie d’un suolo certo europeo, ma pur sempre straniero, varcando dunque una doppia frontiera, nazionale e tellurica. Presso Béthune, ritroviamo una bandierina italiana pure fra gli orti della Cité des électriciens dai muri di mattoni rossi, uno dei vasti ex quartieri operai specificamente concepiti per alloggiare i carbonieri. Proprio negli orticelli, gli italiani introdussero i pomodori, influenzando la cucina locale.

In modo insospettato, fra un terril e l’altro, il mondo di Upernoir finisce persino per suggerire piste interpretative sulla stessa relazione italo-francese. Il simbolo del Louvre di Parigi, com’è noto, è l’italiana Gioconda. Potevano dunque mancare note italiane fra i terrils che cingono oggi il secondo Louvre di Lens? Su questo fronte, anzi, a ben guardare, affiora tutto un intreccio di rimandi fra luce e ombra, bianco e nero, celebrità e oblio. Cos’è la provinciale Lens rispetto alla Ville Lumière del grande Louvre? Ma Lens e il suo Louvre “bonsai” rivendicano lo stesso dignità e originalità, provando a brillare dopo il buio. E che dire di quei minatori italiani sprofondati come personaggi danteschi sotto i terrils, rispetto a Leonardo e tanti altri celebri migranti italiani “di lusso” finiti lungo i secoli oltre le Alpi?

Minatori presso Lens negli anni Cinquanta - Chm - Lewarde

Certo, Upernoir non mira ufficialmente a riscattare la memoria annerita di quell’Italia “esterna” spesso tanto dimenticata. Ci vorrebbero grandi avvocati, bravi magari pure a disinnescare i ciclici fraintendimenti lungo il fecondissimo asse italo-francese. E di fatto, neppure questa pista pare fantasiosa. Nel 2019, l’ultima fiumana di turbolenze politico-economiche italofrancesi era stata formalmente sanata dai due capi di Stato, Sergio Mattarella e Emmanuel Macron, a margine delle commemorazioni leonardesche. Il genio di Leonardo ha “servito” a titolo postumo la concordia binazionale, confluendo così in una sorta di missione d’alta avvocatura.

Rispetto a tanta arte eccelsa, l’opera e il mestiere d’un certo Éric Dupond, nato nel 1961 non lontano da Valenciennes, accanto ai terrils, da una madre italiana figlia d’un minatore marchigiano emigrato nel Nord francese, si direbbero ben poca cosa. Eppure, da quasi un anno l’ex avvocato con doppio passaporto italiano è divenuto il guardasigilli dell’esecutivo francese, dopo aver aggiunto alla propria identità anagrafica il cognome Moretti della madre Elena, umile addetta alle pulizie. Prima di diventare ministro, Éric Dupond- Moretti aveva scalato come avvocato penalista tutti i gradini della notorietà, guadagnandosi persino l’epiteto di “orco del Nord” per la potenza terrificante delle sue arringhe. Una rabbia e una voglia di difendere anche gli umili, come ha confessato di recente, nate precocemente dopo l’uccisione mai elucidata del nonno minatore italiano sulla massicciata d’una ferrovia fra i terrils. E alla fine, è stato pure il ruolo del “terrificante” erede dei ritals (vecchio soprannome, talora spregiativo, dato agli immigrati italiani) a pesare sulla scelta di Macron di sbloccare la dolorosissima controversia bilaterale sugli ex terroristi italiani riparati in Francia.

Il nero non è il bianco. La provinciale Lens non è l’abbagliante Parigi. E l’“orco del Nord” poco pare spartire con Leonardo. Eppure, radicata com’è nella nuda terra mineraria, Upernoir mostra sorprendentemente che i grandi e i piccoli fili dell’anima e della storia europea spesso s’incontrano, specie all’intersezione di due Paesi come Italia e Francia. Che ci sono verità di fondo da scavare dentro a ogni opera di valorizzazione territoriale e culturale.