Agorà

Storie di cuoio. "Monaco 1958", la Superga inglese

Massimiliano Castellani giovedì 17 ottobre 2024

La leggenda dello United Bobby Charlton (1937-2023) che scampò alla sciagura aerea di Monaco 1958 raccontata nel romanzo omonimo di David Peace

«Bobby riaprì gli occhi. Avvertiva l’umidità, la fanghiglia bagnata che penetrava i suoi abiti fino alla pelle, ma non se ne curava, non gli importava… Vide fiamme che balenavano sotto e intorno alla metà anteriore dell’aereo, grossi pennacchi di fumo nero che si alzavano nel cielo grigio e sporco». È il racconto tragico e palpitante della “Superga inglese” del Manchester United descritta dalla penna autorevole di David Peace nel suo ultimo libro Monaco 1958 (il Saggiatore. Traduzione di Pietro Formenton. Pagine. 503. Euro 26,00). Il 57enne Peace è uno degli scrittori britannici più apprezzati, narratore visionario che quando si prende una pausa dalla fortunata saga di Tokyo anno zero (il Saggiatore) allora si immerge dentro a storie di cuoio, come Il maledetto United (il Saggiatore) in cui raccontava i 44 giorni di “resistenza” di mister Brian Clough (il tecnico guru del Nottingham Forest dal 1975 al ‘93), sulla panchina del Leeds United. Bobby, è sir Bobby Charlton, il baronetto del calcio inglese, campione del mondo nel ‘66, ma prima di tutto la leggenda di quel Manchester United che, nove anni dopo la sciagura aerea di Superga (4 maggio 1949) in cui morì tutta la squadra del “Grande Torino”, vide la morte in faccia nel disastro aereo di Monaco di Baviera.

La fine degli invincibili dello United, nove anni dopo la sciagura del Grande Torino

Era il 6 febbraio 1958, alle ore 15,04 quando il cuore di ben otto “Red Devils”, la compagine più giovane e divertente della First Division (l’attuale Premier League) si fermò per sempre. Un incidente che oggi definiremmo banale, il Be 609 della British European Airways tentò il decollo impossibile su una pista ghiacciata dalla neve. Manovra che gli accorti tedeschi dalla torre di controllo sconsigliavano vivamente al pilota Rayment che non sentì ragioni e portò l’aereo fino in fondo alla pista. Una decisione scellerata che pagherà a caro prezzo: perse il controllo del velivolo che, con l’ala andò a infrangersi contro le mura di una casa, e in un lampo divampò l’incendio. L’aereo che portava un patrimonio umano del calcio inglese esplose e con lui andarono in mille pezzi i sogni di gloria e i corpi degli otto giocatori dello United. Otto piccoli eroi esemplari del football che fino a quel giorno si erano abbeverati alla fonte sapienziale del loro maestro Matt Busby. Il “Boss”, l’emblema assoluto dello United ritratto da Peace.

Sir Matt Busby, il "papà" dei Babes che stavano riscrivendo la storia

Busby lo scozzese di ferro che aveva preso in mano una società minata dalla guerra. Quando sir Matt arrivò nel 1946, il club era praticamente sotto le macerie, anche finanziarie, al punto che per disputare le gare interne era costretto a pagare, a fatica, l’affitto dello stadio degli odiati cugini del Manchester City. Lo United poté tornare all’Old Trafford nel ’49 e proprio mentre il Grande Torino spariva dalle scene internazionali, i Red Devils rialzarono il sipario su quello che da allora divenne “The theatre of dreams”. Ma nel teatro dei sogni in quel triste febbraio del ’58 calarono gli incubi portati dalla tragedia della squadra spezzata. Neanche Marcel Proust sarebbe stato così accattivante nel dettagliare le operazioni di soccorso e di recupero dei corpi come è riuscito a Peace in Monaco 1958. Il suo romanzo è anche un grandissimo recupero della memoria collettiva attraverso il dramma sportivo. Ancora più intenso ed emotivamente straordinario è lo stile, l’empatia e la pietas con con cui Peace entra, anzi rientra, a distanza di quasi settant’anni, nelle case di quelle famiglie angosciate per la sorte dei loro cari, di cui al momento dell’incidente non vi era più nessuna certezza sul fatto che fossero scampati o meno alla sciagura. La ridda delle notizie in un tempo ancora da cabine telefoni-che a gettoni si inseguivano caoticamente. Davano per morto anche il “Boss”, il papà di quelli che i tabloid di sua Maestà la Regina Elisabetta, avevano ribattezzato i “Busby Babes”.

I "Red Devils" amati dal popolo quanto la Regina Elisabetta

Nel ‘52 la Regina saliva sul trono, per restarci fino alla morte avvenuta nel 2022 e, lo United dopo 41 anni tornava a vincere il titolo nazionale, a cui fece seguire altri 4 campionati vinti. I ragazzi forgiati all’idea estetica del bel calcio ma soprattutto del fairplay, «giocate sempre nel rispetto di voi stessi e degli avversari», questo il mantra del “Boss” Busby che affidava le cure fisiche e mentali dei suoi figliocci a tre uomini di fiducia: Jimmy Murphy, Bert Whalley e Tom Curry. Quest’ultimo infondeva ai ragazzi anche i valori del cattolicesimo e gran parte della rosa lo seguiva alla Messa della domenica mattina. Ma mentre Murphy quel maledetto 6 febbraio si salvò, perché controvoglia andò a visionare una partita della nazionale, Curry e Whalley invece non scamparono e i loro nomi figurano tra le 23 vittime del disastro di Monaco. Sir Busby con grande sollievo della sua famiglia tornò a casa dopo l’incidente e con il suo carisma e le alchimie tattiche messe a disposizione dello United proseguì la sua missione fino al 1969 vincendo nel ‘68 l’agognata Coppa Campioni che inseguiva dalla dannata stagione in cui perse parte della sua “prole calcistica”.

Tra le 23 vittime le storie degli 8 angeli caduti in volo

I “Busby Babes” quel giorno di febbraio del ‘58 erano felici di rientrare a Manchester dopo che a Belgrado con il 3-3 contro la Stella Rossa erano qualificati per la semifinale e a quel punto sognavano di mettere le mani per la prima volta sulla Coppa dalle grandi orecchie. Più di tutti lo sperava il “vecchio” capitano Roger Byrne, appena 28enne quando se ne andò per sempre, ignaro che sua moglie Joy aspettava un figlio da lui. Non fece in tempo ad apprendere quella dolce notizia, mentre riuscì a ultimare l’articolo che uscì postumo nella rubrica che teneva dalle pagine del “Manchester Evening News”. «Spero di ritrovare il Real Madrid in semifinale...», scrisse Byrne che pregustava la rivincita dopo la sconfitta subita con gli spagnoli l'anno prima. Il Real andò in semifinale e poi vinse la Coppa dei Campioni del ‘58 battendo il Milan (3-2). Peace ricorda gli altri caduti dello United. Mark Jones, il quale sapeva che a casa lo aspettavano il figlioletto e la giovane moglie, ma anche l’amato labrador nero Rick, che non vedendolo rincasare qualche giorno dopo si lasciò morire..A 25 anni Geoff Bent era ancora allergico ai voli e se fosse stato per lui non si sarebbe mosso da Manchester. «Quando salgo su un aereo mi sanguina il naso», aveva confessato sincero a sir Busby, sperando in un esonero ma era troppo importante che Geoff ci fosse in quella trasferta, ignorando che sarebbe stata anche l’ultima. Tommy Taylor (26 anni) era al settimo cielo, giocava nel club più forte d’Inghilterra, forse d’Europa, e intanto pianificava il grande giorno: il matrimonio con la sua fidanzata che salutò al telefono ebbro di gioia per la vittoria: «Amore prepara una bella birra che sto arrivando... ». La sua pinta rimase vuota, per sempre. Liam Whelan (22 anni) era uno dei discepoli prediletti di Curry, da cattolico irlandese morì mantenendo una fede incrollabile: dopo lo schianto pare l’abbiano sentito gridare con l’ultimo fiato rimastogli in gola: «Dio sono pronto...». A Dublino erano pronti in 20mila ad accogliere la sua salma per un funerale di Stato. Il più mancino dei tiri non può essere che morire a 21 anni, deve essere stato il pensiero finale di Eddie Colman che con David Pegg (22 anni) era il più giovane dei gioielli dello United. Con loro finì i suoi giorni anche quello che era considerato il diamante della corona inglese, il nuovo simbolo della Nazionale dei Tre Leoni: il 21enne Duncan Edwards, detto “Tthe Tank”. Forte e duro in campo, quanto tenero e altruista nella vita di tutti i giorni. Prima di lasciare questa terra spedì un telegramma alla padrona del suo appartamento per avvertirla che, «da Belgrado, causa imprevisto scalo a Monaco», avrebbe pernottato in Germania. Stringendo la mano della sua fidanzata Molly, Duncan si arrese il venerdì 21 febbraio. A distanza di quindici giorni Manchester dichiarava un secondo lutto nazionale e la cittadina di Dudley, nel Midlyne, dove Edwards era nato lo celebrò con una Messa solenne, dedicandogli poi una statua e sulle vetrate della chiesa di St Francis si ammira la sua “figurina” con la maglia del Manchester e dell'Inghilterra. E l’Inghilterra, tutta, di colpo si sentì orfana, almeno fino ai Mondiali casalinghi del ’66. Quelli in cui la “regina d’Inghilterra” era Pelè, ma alla fine sotto il cielo di Londra fu sir Bobby Charlton ad alzare la Coppa dei campioni del mondo mantenendo la promessa fatta a quegli otto angeli caduti in volo. «Bobby avrebbe portato con sé il ricordo ogni volta che fosse sceso in campo… Avrebbe provato a dimostrare che c’era ancora vita nel Manchester United. Bobby avrebbe dimostrato che c’era vita dopo la morte», scrive un estatico Peace.

A Barcellona ci fu la mano dei "Busby Babes" sulla Coppa dei Campioni del '99

Non c’è stato un solo giorno in cui con la memoria Matt Busby non abbia riportato in vita i suoi otto ragazzi salutandoli con un paterno e affettuoso «hello son», ciao figliolo. La sua missione allo United si chiuse ufficialmente nel ’69 e trent’anni esatti dopo un altro signore e boss di lungo corso come sir Alex Ferguson riportò a Manchester l’agognata Coppa dei Campioni, nel frattempo diventata Championsm League. La notte di Barcellona i Red Devils sfidarono ancora i fantasmi di Monaco, quelli del Bayern che al 90’ stavano vincendo 1-0. Poi la mano dei Babes è scesa dal Cielo sul prato del Camp Nou e nei minuti supplementari Sheringham e Solskjaer firmarono il più clamoroso degli eurosorpassi, 2-1. Era il 26 maggio, il giorno del compleanno di sir Busby, salito Lassù dai suoi figlioli cinque anni prima di quella notte da campioni d’Europa. Una notte, quella di Barcellona, in cui c’è chi giura che sir Busby e i suoi Babes erano lì, erano tornati giusto il tempo per rendere ancora grande lo United, e contro la squadra di Monaco provare a chiudere quelle cicatrici dalla parte del cuore. Ma Monaco 1958, Peace lo sa e lo ha scritto, rimarrà la ferita più grande nella storia del football inglese, e nessuno potrà mai cancellarla.