L'incontro. Mogol, nel mio canto libero il senso della nostra vita
Il “Poeta” del pop Giulio Mogol, 85 anni circa 1500 canzoni scritte
È già Natale al Cet – Centro europeo di Toscolano – , l’unica scuola che prepara e segue i giovani “tarantolati” dalla musica. «Siamo la Berkeley italiana, convenzionati con l’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti. Abbiamo diplomato oltre 3mila ragazzi e negli anni siamo diventati un modello, e non lo dico certo io...», parola della grande anima musicale Giulio Mogol, il Principe del Cet che si aggira per il parco del suo borgo incantato dell’Umbria, mettendo quotidianamente in ordine musica e parole, aneddoti e ricordi di un giovane saggio, arrivato all’85° inverno. Una lunga stagione, vissuta tra discese ardite e le risalite, concedendosi innocenti invasioni e cercando, continuamente, quel coraggio di vivere che adesso, c’è. Ma solo dopo aver attraversato primavere da fiori rosa fiori di pesco... E si potrebbe andare avanti all’infinito con i rimandi e le citazioni dei testi scritti da Mogol, per brevità chiamato “Poeta” del cantar leggero. Un Poeta da 523 milioni di dischi venduti. «La più grande soddisfazione è scoprire che molti titoli delle circa 1500 canzoni che ho scritto sono entrate nel parlato comune, un lessico familiare. A volte frammenti dei miei brani li ritrovo persino negli articoli dei giornali o in qualche libro di narrativa». Potere dei pensieri che vanno Oltre le parole titolo dell’Antologia commentata (edizioni Minerva, a cura di Clemente J. Mimun e Vittoria Frontini) delle 60 canzoni scritte dal divo-antidivo Giulio, dal 1961 al 2011. L’antologia è un’idea di sua moglie Daniela, e avrà ovviamente un seguito.
Vasco Rossi stregato dalla sua canzone La compagnia (1969) ha detto: «Mogol è irraggiungibile ». Il “Professore”, Roberto Vecchioni, nella sua “autoantologia” afferma che «due sono i geni» della scrittura dei testi nella tradizione cantautorale italiana: Francesco De Gregori e Mogol.
Ringrazio Vasco e Vecchioni, perché detto da due grandi scrittori di canzoni come loro fa ancora più piacere. Questo talento lo devo in gran parte a mio padre che me lo fece scoprire e coltivare da “ragazzo di bottega”. Lui lavorava alla Ricordi e mi diede la possibilità di impratichirmi visionando i testi degli altri per poi cominciare a scrivere i miei. Ho iniziato a lavorare «per una lira», anzi no, 5mila lire a canzone, e nel 1961 con Al di là, cantata a Sanremo (in abbinata con Betty Curtis) da Luciano Tajoli, schizzai al primo posto in classifica. Quel disco ha venduto 6 milioni di copie ed è stato primo nelle hit parade di 26 nazioni.
Vette toccate scrivendo praticamente per tutta la nostra musica pop, fino all’apoteosi del sodalizio Mogol-Battisti, che ormai è un capitolo di storia della “letteratura” del ’900.
Con Lucio Battisti c’è stata un’alchimia unica e irripetibile rispetto a tutti gli altri musicisti e cantanti con cui ho collaborato. Anche se il processo creativo è sempre stato lo stesso, con tutti: prima ascolto la composizione musicale del-l’artista, cerco di comprenderne il senso e solo allora posso iniziare a pensare di scrivere un testo. Seguo una disciplina che prevede il rispetto degli accenti: ogni bisillabo deve corrispondere a delle parole precise e non altre. Musica e parole devono avere un flusso unico, c’è una metrica da rispettare che è data dalla melodia.
E tutto questo lavoro senza saper né leggere, né scrivere la musica, oppure è una delle tante leggende che circolano su Mogol?
È la verità. Non conosco la musica e non so suonare nessuno strumento, nonostante mio padre abbia fatto di tutto per mandarmi a scuola di pianoforte. Per un periodo presi anche lezione dal fratello del grande pianista Carlo Donida – si ferma e sorride divertito – ... ma pur di non studiare, trovai l’inganno: sapevo che a Donida piaceva il cognac e così appena arrivava a casa nostra gli riempivo un bel bicchierone. La lezione finiva lì. Oggi però, consiglio ai giovani che vogliono fare il mio mestiere di imparare a suonare uno strumento e di studiare a fondo la musica, di tutti i generi.
Lo studio integrale della musica l’ha portata a scrivere il libretto di un’opera lirica, La capinera...
Lo considero un capolavoro, condiviso con quel genio di Gianni Bella, compositore straordinario con cui ho grandi affinità, anche lui non conosce la musica, la scrive tutta ad orecchio. Gianni è una persona dolcissima, un grande amico.
I grandi amici come Lucio Battisti gli “appaiono” sotto forma di Arcobaleno, che poi è diventata la struggente canzone che ha scritto (musica di Gianni Bella) per Adriano Celentano.
Un episodio simile a quello accaduto con Lucio mi è capitato con Pino Mango, un musicista di livello mondiale. Non è stato ancora capito fino in fondo, solo perché Pino era un lucano stanziale, di fatto non si è mai mosso da Lagonegro. Amava così tanto la sua terra che è morto lì (a Policoro) e lo ha fatto come tutti i grandi artisti: “caduto” sul palco durante un concerto di beneficenza. Lucio e Pino mi hanno fatto capire che l’aldilà è assai diverso da come ce lo immaginiamo. Intanto morendo non perdiamo la nostra identità e poi le persone care defunte hanno il potere di influenzare i nostri pensieri molto più di quanto non possono farlo i vivi che ci circondano...
Parole da fervido credente.
Nel mio cammino di uomo e di artista ho sempre rafforzato la fede. Poi ho avuto la fortuna di sposare Daniela, una donna che vive il cristianesimo anche quando guarda Tv2000 per recitare il rosario. Qui al Cet ha realizzato una cappellina dedicata alla Madonna del Rosario, organizza gruppi di preghiera ed è sempre dedita alla carità. Vivendo pienamente la fede assieme a lei mi sento un uomo migliore e le preghiere che mi ha insegnato da bambino mia madre le dico ancora tutti i giorni, e per tutti, specie per quelle vite che sono in pericolo in un momento assurdo come questo della pandemia che in poco tempo ha sconvolto il mondo.
L’anno dell’emergenza Covid intanto le ha portato in dono il “Premio Tenco”.
È cambiata la giuria ed è finito, per loro stessa ammissione, «l’ostracismo» nei miei confronti. Sono fiero di questo riconoscimento che porta il nome di un caro amico come Luigi Tenco che ho visto sbocciare e poi subito morire... Che idea mi sono fatto della sua fine? Non sono un indovino, ma la morte di Tenco è spiegata in quello che aveva dichiarato, la delusione per l’eliminazione dalla finale del Festival del ’67. Il fatto poi che si sia portato la pistola a Sanremo, non è un dettaglio da poco, la sua solitudine e il suo dolore, forse e sottolineo forse, gli avevano reso la vita insopportabile.
È una ricostruzione degna di “Poliziotto ad honorem”.
Altro premio di cui sono onorato, perché nella motivazione gli amici della Polizia di Stato hanno scritto «a Mogol per meriti sociali». L’essere un uomo sociale e solidale, è l’essenza di quella materia che vorrei introdurre in tutte le scuole, a partire dalle elementari. Se il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi mi a- scolta questa sarebbe la vera riforma scolastica.
Ma di che materia stiamo parlando?
Del “Senso della vita”. Conservo nella mente tutti gli insegnamenti che mi hanno impartito i miei genitori, a cominciare dalla puntualità, il rispetto degli altri, la conoscenza dei propri diritti e dei relativi doveri. Il “Senso della vita” va oltre l’educazione civica, indica la via della bellezza ai giovani affinché non cadano nelle mille trappole di questa società a volte brutta, spietata e gravemente malata. E poi li educa a non avere paura della morte, che non va demonizzata, ma occorre prepararsi invece a quel momento finale, davanti al quale nessuno di noi è mai pronto.
Ma il “Senso della vita” comprende anche l’ora di musica?
Certo, l’educazione musicale rientra nel rispetto e la cura del bello. La musica salva soprattutto i giovani dall’abuso che, oggi, è principalmente tecnologico. Troppe vite finiscono incagliate nella Rete. Un volta le persone ignoranti ascoltavano quelli che ne sapevano di più, adesso invece gli ignoranti vanno al potere. Dal loro sito personalizzato si spacciano per santoni sui social, le loro menzogne diventano verità assolute. Viviamo in un mondo sempre più difficile nella sua superficialità.
«Questo mondo tende la sua mano / forse cerca Dio / cerca aiuto a Dio», canta Gianni Morandi, in Rinascimento di Mogol e Gianni Bella.
«Quando Morandi la cantò a Sanremo ci fu la standing ovation all’Ariston. Il pubblico provò i brividi per l’emozione, momenti intensi come quelli, qui con i miei ragazzi del Cet li viviamo ogni quotidianamente.
Qualche giovane della scuola Mogol parteciperà al prossimo Festival?
Nessuno dei miei ragazzi è in gara, ma vorrei tanto che Amadeus ci invitasse a Sanremo per presentare una canzone che sta a cuore non solo a me. L’ho intitolata I colori del mondo ed è dedicata a papa Francesco che, all’udienza, l’ha ascoltata assieme a me e a una signora che reggeva in mano un pc... Dopo aver visto il video – con i bambini africani – e sentite le parole del brano ho visto il Papa con gli occhi lucidi... A cantarlo sono i calciatori della Nazionale italiana cantanti, gli azzurri campioni d’Europa e le medaglie olimpiche di Tokyo. Il ricavato andrà tutto in beneficenza... «Siamo corpo, anima e emozioni...» – intona piano piano Mogol – . Vedi, il senso della vita, spesso io l’ho trovato dentro un piccolo, semplice verso come questo».