Agorà

Musica e ricordi. Modugno e l'insuccesso del Mezzogiorno folk

Andrea Pedrinelli mercoledì 22 luglio 2015
C’era persino il premonitore incitamento materno di tenere sempre le mani pulite, nell’Lp Con l’affetto della memoria che Domenico Modugno volle fortemente incidere nel 1971. Quel disco, per l’autore di Nel blu dipinto di blu, era il Disco con la maiuscola, il capolavoro di una vita, l’opera nella quale svelarsi compiutamente, appunto fra sentimenti e radici, sfruttando la fortuna di essere tornato ai fasti delle hit parade con la melodia della Lontananza e la bellezza struggente di quell’inno alla vita che si intitola Meraviglioso.Ma è destino di tanti artisti, che ciò che essi considerano centro della propria produzione diventi in fretta, per l’industria e per il pubblico, periferia. Nel caso di Modugno e del suo agognato album del ’71, a nulla valse il successo del brano Amara terra mia, lavorato su un canto popolare abruzzese e beffardamente arrivato quand’egli lo propose su singolo a disco ormai ampiamente dimenticato da tutti; né servì a qualcosa il momento storico nel quale Con l’affetto della memoria vide la luce, quello della riscoperta del folk (si pensi alla grande Maria Carta) e dei “concept album” impegnati. Ma forse non fu un caso, che la riscoperta del folk e la scoperta dell’impegno abbiano coinciso con l’insuccesso dell’Lp. Con l’affetto della memoria, a dirla tutta, univa le due faccende molto bene: ricordando un Sud Italia povero e migrante anche nelle sue espressioni dialettali e facendovi un viaggio musicaltestuale preciso; dall’agricoltura ai mestieri, dall’emigrazione alle rivolte, dalla guerra al nuovo terzo settore impiegatizio. Sino ad un’evocazione finale del mondo popolare dell’intero Meridione, messa in musica osando uno strumentale: che non era l’unica faccenda “impegnata” dell’Lp. Il quale proponeva un testo di Eduardo De Filippo (che fra l’altro consentiva a Modugno di unire a Puglia, Abruzzo e Sicilia pure la lingua di Napoli) ed era comunque, palesemente, appunto un “concept”.  Però l’Italia della musica viveva già di una delle sue massime contraddizioni, una delle tante che negli anni hanno spinto troppi a svalutarne (se non sperperarne) certi patrimoni. Se un artista è popolare, recitava l’assioma della critica di allora, è perché fa brutta musica; se è impegnato, farà senz’altro bella musica. Non erano previsti gli artisti che grazie alla qualità arrivavano al successo di massa; né l’ipotesi (spesso più che tale) dell’esistenza di artisti impegnati, sì, ma ben poco capaci. Modugno poi, ahilui, non era popolare: era popolarissimo. Era Mister Volare: figurarsi. Scarso interesse, poche copie vendute, nessuno che volle pubblicare lo spartito dell’album. E dire che ci aveva provato, Modugno, a rivendicare che non solo la canzone d’autore in Italia l’aveva creata lui, ma anche il folk, in fondo, a lui doveva tanto. «Oggi che lo stanno riproponendo in tutte le salse – partì lancia in resta in tv alla vigilia delle incisioni – lavoro anch’io a un disco così, perché il folk italiano l’ho inventato io». Modugno si riferiva qui all’uso del pugliese – scambiato per siciliano, col suo tacito assenso – nei brani che ne segnarono i primi successi: La donna riccia (singolo d’esordio) e Magaria (ninna nanna apprezzata persino da Sinatra), sino alla Napoli di ’O ccafè, talmente nota da essere ripresa da De André come leitmotiv di una delle sue più celebri denunce contro la camorra, Don Raffaé.  Certo Modugno aveva un fare un po’ troppo deciso, nel rivendicare i propri meriti: e questo urtava la sensibilità dei critici. Ma crediamo incise di più, nel triste clima ideologico di quegli anni, che Amara terra mia come canto popolare fosse stato appena ritrovato e testimoniato da Giovanna Marini, grande ricercatrice, certo: ma non per questo da elevare agli altari per forza, specie di fronte all’intuizione di un grandissimo quale Modugno di portare all’Italia tutta quel grido di fame ed emigrazione. Comunque sia, a nulla servì per l’Lp neanche l’aver ripreso taluni brani sociali in dialetto degli esordi di Modugno, Salinaru, Tamburo della guerra, Lu pisce spada.  Non gli servì aver davvero scavato a fondo fra affetto e memoria per incidere recitativi sul padre e il primo amore. E pochi, valorizzarono certi riferimenti pirandelliani, Scioscia popolo di un De Filippo molto politico sui soprusi del potere ai danni della gente comune, la messa in musica di una tradizione inedita del paese natio (Frasulinu). Modugno lanciò il disco dicendo: «Mi frullava da tempo in testa l’idea di un “concept” che mescolasse infanzia e storia, persone conosciute e mestieri tipici». E quello aveva realizzato: in modo magistrale, sincero e di grande impatto. Ma Scioscia popolo si trova fra le canzoni impegnate oggi, sul web; e dopo il disco, causa la rabbia del suo insuccesso, Modugno divenne attore impegnato di teatro, partendo addirittura da un Brecht strehleriano. Tutto dopo, accadde. Quando Con l’affetto della memoria, uno dei “concept album” italiani più belli e completi, capace di raccontare il sofferto primo Novecento di mezzo Paese, era andato al macero. Per consentire alla critica di lamentarsi del Modugno di Piange il telefono dopo averne archiviato l’evoluzione.