Agorà

Mistica. Meister Eckhart e la luce dell'anima

Cristiana Dobner giovedì 11 luglio 2024

Hieronymus Bosch, "Empireo", particolare, dalle "Quattro visioni dell'aldilà"

In Meister Eckhart, La luce dell’anima (Lorenzo de’ Medici Press, pagine 186, euro 18,00) Marco Vannini, che vive immerso nelle opere di Meister Eckhart, traduce e annota, con rigorosa accuratezza, venticinque sermoni, latini e tedeschi, ritenuti fra i più importanti di Meister Eckhart. In un momento di buio culturale, dovuto alla serpeggiante e forse imperante esculturazione, il ritorno ad un frate domenicano, contemporaneo di Dante, ad un mistico del secolo XIII ha senso? Potrebbe trattarsi solo di un’accurata esplorazione archeologica? La risposta agli interrogativi è dirimente: la luce dell’anima appartiene alla persona. Posto che la scopra e quindi esca dal budello dell’esculturazione per lanciarsi nello spazio aperto del fondo dell’anima. Non è un paradosso verbale o un gioco di parole, è una realtà vissuta, sperimentata e comunicata perché tutti possano giungere a questa scoperta.

Limpida l’asserzione del domenicano: «C’è una luce nell’anima, dove mai è penetrato il tempo e lo spazio. Tutto ciò che il tempo e lo spazio hanno mai toccato, mai è giunto a questa luce. E in questa luce l’uomo deve permanere». Così viene siglato il nucleo del suo insegnamento.

Se però tempo e spazio non vi sono mai giunti come è possibile asserire che «è in questa luce che l’uomo deve permanere»? Il linguaggio dell’antico mistico può essere compreso oggi? Certamente. Perché, se ci travolge l’onda di psicologie o counseling a buon mercato quali prodotti contraffatti, siamo perduti ed allora, fosse almeno per non affogare, dovremmo accostarci a questo linguaggio per entrare nel vortice che si dilata su spazi veri. Non esiste infatti solo la psicanalisi, per quanto sia scienza autorevole, esistono anche altri percorsi, quali la preghiera e l’esperienza mistica. Il titolo Meister non suona tale solo perché indica il ruolo tenuto da Eckhart nell’Università di Pari, quanto piuttosto per tutta la sapienza che trasuda e il messaggio che trasmette: conoscere Dio, conoscere l’anima. Meister Eckhart possiede la filosofia classica, il “conosci te stesso” che lo sospinge oltre al conoscere Dio, il logos è uno, umano e divino. Lo slancio del cammino giunge ad essere una cosa sola con il Padre.

Platone ha tracciato il cammino dell’amore che sale, di grado in grado, dal sensibile fino a giungere al Bello in sé, al Bene in sé. Dobbiamo “farci simili” a Dio. Aristotele ci trasmette l’intelligenza pura, eterna e divina, non dipendente dall’esperienza. Il fondo dell’anima viene trasmesso dal mondo stoico. Da Plotino l’Uno, il principio dell’essere, con il distacco inteso come “distaccati da tutto”. Agostino con il richiamo “ritorna in te stesso”. Quale il metodo, quale la strada per giungere a comprendere?

L’insegnamento del mistico è radicale: solo l’uomo interiore, colui che ha messo in atto il distacco, cioè ha rinunciato a se stesso e quindi ha scoperto il “fondo” dell’anima, dove è spirito, proprio come Dio è spirito, può percepire e comprendere. Il bagliore della luce eterna allora può risplendere: «Dio arde e splende incessantemente con tutta la sua ricchezza, con tutta la sua dolcezza e la sua gioia. In verità, in questa potenza stanno una gioia tanto grande e un così immenso incanto che nessuno è capace di parlarne o di rivelarlo completamente». Eckhart afferma che lo Spirito Santo viene donato solo a chi vive nella luce dell’intelletto. Messaggio arduo e simultaneamente facile perché non richiede l’acquisizione di tecniche o di metodi. Tutti ovvero chiunque può percorrere questa strada, quando il distacco da sé si sia manifestato con la percezione della luce eterna e abbia fatto scaturire la gioia: Dio è sceso nel vuoto dell’anima.

Molte le incomprensioni che si rovesciarono sul domenicano ma il tempo gli sta dando ragione, perché ha solcato i secoli non solo con il suo messaggio ma anche con la sua testimonianza. Nota è la sua preghiera: "Prego Dio che mi liberi da Dio”, commenta il curatore «si rivolge al vero Dio, sine modis, ossia alla Gottheit, alla Divinità senza nome, perché sgombri l’intelligenza, tutta l’anima, dalle rappresentazioni del divino - frutto appunto delle passioni dell’uomo». Sul Sermone 59 Vannini ricorda che per Eckhart l’anima è così completamente una con Dio «che nessuno dei due può essere compreso senza l’altro». Insomma, non è possibile pensare «Dio senza l’anima, né l’anima senza Dio». Quindi ne nasce l’abbandono, la fiducia in Dio, come cantava il suo contemporaneo Dante «en la sua voluntade è nostra pace; /ella è quel mare al qual tutto si move,/ ciò che ella cria e che natura face». Scrive Vannini: «Né Eckhart né Dante sapevano il greco, per cui ignoravano che in quella lingua phos significa tanto luce, quanto uomo ma conoscevano ugualmente quelle fonti classiche che li avevano formati, e così in questi due massimi esponenti della cultura medievale viene a compimento la sintesi tra sapienza antica e messaggio evangelico. Qualcosa oggi del tutto dimenticato, cui è urgente tornare». Possa essere un cammino per uscire dall’esculturazione.