Sulle calde note di un blues, il
Signore pietà. Una festosa salsa per il
Gloria, perché «
El Gloria
es alegría», come ricorda una voce maschile prima di lasciare spazio alle percussioni. Swing per
Credo e
Santo – il primo con accenti soul, il secondo così orecchiabile da fissarsi in testa dopo venti secondi–, un bossa nova cucito su misura per l’Agnello
di Dio. La Misa en jazz nasce da un’idea e da 4 anni di lavoro di Miguel Ángel Castellarín, batterista e compositore argentino di 34 anni, ma senza Jorge Mario Bergoglio sarebbe finita nel dimenticatoio. Sentiva il bisogno di esprimere gratitudine a Dio attraverso la musica, Miguel Ángel, e proprio con quella musica da cui si era lasciato affascinare sin da piccolo. Il timore, però, era di passare per troppo originale: le intenzioni erano buone, ma non si rischiava forse uno scivolone? Nel dubbio, andò a chiederlo all’allora cardinale di Buenos Aires. «L’intuizione di portare il jazz nella messa arrivò mentre stavo prendendo un caffè – racconta il giovane musicista –. Mi capitò sott’occhio un articolo di giornale in cui si parlava di un concerto in Vaticano, e da lì pensai di fare della mia musica un mezzo per lodare il Signore». Il primo a cui rivelare il proprio progetto, prosegue Miguel Ángel, fu don Fernando Gardea, oggi parroco nel
barrio di Palermo, nella capitale argentina: «Fu lui a insegnarmi la musica classica, sin da bambino. Non so quanti cd abbiamo ascoltato assieme. Mi disse: “Non sono uno specialista del jazz, ma intanto ti consiglio di leggere il Vangelo, anche per capire come pensare le musiche”». Così fu, mentre un altro sacerdote – Mario Miceli, coordinatore della pastorale giovanile di Buenos Aires – spingeva l’amico compositore a non demordere.Alcune musiche erano già composte, ma mai suonate in pubblico né registrate: cosa ne pensava il cardinale Bergoglio? «Gli scrissi e mi invitò a trovarlo. Ricordo ancora il giorno: 2 luglio 2012. Saranno state le 8 di mattina – racconta Castellarín – . Mi disse: “Nella tua lettera mi hai ricordato la mia adolescenza”. Gli avevo parlato di Frank Sinatra, di Benny Goodman e di altri musicisti importanti per la mia formazione ». Poi la parola passò al giovane jazzista: «Ricordai che al Corpus Domini aveva parlato molto dei giovani e dei loro problemi, dalla povertà alla corruzione. Poi aveva usato un’espressione forte: “Chi cammina senza lasciare un’impronta, è inutile”. Così dissi: io la mia impronta vorrei lasciarla nella musica sacra. E gli parlai della
Messa jazz. Lui rispose subito: “
Hay que tocar! ”, ossia: “bisogna suonare”. Parlammo un’ora, e non solo di musica. Poi mi diede la benedizione e ci salutammo». L’entusiasmo cresceva, di pari passo con l’elaborazione degli arrangiamenti, e a dicembre dall’arcivescovado dissero di ripassare a marzo 2013. Ma Bergoglio, partito da un Paese «quasi alla fine del mondo », finì per rimanere a Roma. «È stata una felicità enorme – riprende Miguel Ángel – . Attraverso la Curia gli mandai una lettera per ringraziarlo, assieme a un disco di Goodman. Non passò molto e mi arrivò la risposta del papa». La
Messa jazz, intanto, prendeva forma: «Il primo lavoro coinvolgeva 10 musicisti e 7 coristi – spiega il giovane compositore –, poi ci siamo allargati: i musicisti sono diventati 25, i coristi 35». Prove su prove: più che colleghi, quasi una famiglia: «A cantare c’erano due evangelici e nella prima formazione suonava il trombone una ragazza ebrea – racconta Miguel Ángel –, il pianista è non credente, il secondo tastierista è proprio ateo. Si chiama Santiago, a un certo punto ha detto: “Quasi quasi mi converto”». Solo una battuta rivolta all’amico innamorato della musica sacra, ma comunque il segno che, anche se non trasmesso con un linguaggio tradizionale, il messaggio arriva dritto al cuore. E arriviamo a poco meno di due mesi fa, il 23 giugno. Nel salone della Usina del Arte, a Buenos Aires, viene presentata la
Misa jazz: dopo 4 anni, il sogno di Miguel Ángel diventa realtà, almeno per il tempo di un concerto, da condividere con l’amico Gabriel Nuñez (negli arrangiamenti c’è anche la sua impronta), il chitarrista Daniel Raffo, il direttore d’orchestra José Martin Aspiazu e The Afrosound Choir. Si registra un disco dal vivo, che però sarà usato solo per promuovere il progetto.«Ora il nostro desiderio – spiega Miguel Ángel – è di allargare la
Misa jazz prevedendo anche il canto d’ingresso, quello conclusivo, i canti di offertorio e comunione e due temi di meditazione». La preparazione è a buon punto, il budget non ancora: riunire 60 professionisti costa 150mila pesos (14.000 euro). La ricerca degli sponsor, grandi o piccoli, è già partita, «e il ministero della Cultura del governo cittadino ha riconosciuto il progetto di interesse culturale», spiega Miguel Ángel, che poi allarga le braccia: «Io intanto penso alle musiche, il resto si vedrà». Passione, impegno, e un po’ di improvvisazione, che nel jazz non guasta mai.