Agorà

Dibattito. Migranti, europei oppure no?

PAOLO SORBI mercoledì 3 febbraio 2016
Per ora è stallo. La tradizionale flemma che caratterizza molti stili di lavoro del Parlamento Europeo, sarà ben presto sconvolta da drastiche decisioni riguardanti i contenuti e le procedure per cercare di risolvere la più grande immigrazione collettiva, verso l’Europa, avvenuta dal secondo dopoguerra ad oggi. C’è anche chi parla di «rischio sospensione» dello spazio di Schengen. Spazio di libera circolazione tra tutti i Paesi che formano la Comunità Europea. Entrò in vigore a partire dal 1985. Per la drammaticità sociale, prodotta dalla rottura degli equilibri socio-demografici, per l’impressionante massa dei migranti provenienti dall’area del medioriente, dell’Africa e anche da certe zone dell’estremo oriente. Dopo gli attentati terroristici del 13 novembre a Parigi, dopo le molestie di massa, diciamo così, maschiliste, compiute nella notte del recente capodanno nelle piazze di Colonia, nelle diverse città di molti Paesi europei, la scoperta di alcuni migranti siriani, non solo, legati a forze terroristiche, sono cresciute radicalmente le diffidenze di molte Capitali ed opinioni pubbliche europee.  Ancora: le diffuse difficoltà accertate dalle realtà del volontariato in tutta Europa di poter orientare e organizzare masse ampie di migranti, sembrano far emergere, oltre che delusione anche una sorta di paura verso il movimento collettivo dei migranti. La fine di un sogno. Il sogno di un’inclusione abbastanza indolore con le moltitudini dei migranti, e le realtà territoriali europee, si è infranta davanti ai morti del “Bataclan” di Parigi. Nello stesso tempo, ci sembra che la crescita della società multietnica europea continui senza sosta. In un’Europa a maggioranza di anziani, questo processo di declino demografico è anch’esso irreversibile. Nella nuova era di Internet, l’informazione, vaga ma dirompente, del grande 'spazio europeo' abitato da anziani, con prospettive, in futuro, di territori semivuoti, raggiunge tutti gli innumerevoli attendamenti di rifugiati e poveri, nella stragrande maggioranza molto giovani, delle terre mediorientali e non solo. “Terre di Hobbes” vengono definite dai sociologi. In una sorta di regressione ad un mitico stato naturale, di guerra di tutti contro tutti. Come in Messico fanno le bande criminali di narcotrafficanti, terrorizzando le popolazioni.  Chi fugge, nei lunghi e dolorosi cammini per arrivare alle cosiddette “terre promesse” dell’Europa, certo compie un’iniziale e pratica riflessione dell’orrore che ha lasciato. Superstizioni e fanatismi religiosi ossessivi, nevrotici. Brutalità e tirannia dei governi, corruzioni dilaganti. D’altra parte l’impatto con i nostri stili di vita, il mondo delle libertà occidentali, è stato impressionante. Basta leggere i rapporti delle tante Ong, che segnalano diffuse difficoltà psicosociali e culturali, in particolare nelle relazioni e negli atteggiamenti affettivi. Certo nella comunità dei ricercatori sociali in Europa, la consapevolezza di una specie di eterogenesi dei fini del movimento dei migranti, cominciava ad essere presente.  Cresceva in questi ambienti scientifici la sensazione che i conflitti culturali interetnici, tra generi, tra stili di vita, conflitti tra poveri europei e nuovi poveri provenienti dalle tante zone di guerra, si sarebbe scatenata. In un contesto, poi, di stagnazione economica prolungata e di drastica riduzione dell’offerta di lavoro. Tutto questo ha prodotto l’emersione del “vaso di Pandora” della paura. E la paura è un disagio originario del genere umano. Produce, attraverso false immagini, risposte contro i cosiddetti capri espiatori. Come ha ben dimostrato René Girard nei suoi studi sul linciaggio sociale e nel rifiuto degli “altri”. Ecco la necessità della risposta francese e anche tedesca, di una sorta di “stato d’eccezione” di fronte ad una situazione eccezionale. Non per contrapporre controlli a libertà di movimento e parola, e mobilitazione collettiva, ma per non arretrare anche in Europa verso l’incubo di quello che abbiamo denotato come spazio della “terra di Hobbes”. Dunque non possiamo sognare di aprire porte e case ad un movimento così imponente di migranti come fossero “anime belle”. Dobbiamo aprirci, con atteggiamento di fraternità e, al tempo stesso, di 'cura' e rigore come dovranno essere gli effetti legali contro le brutalità compiute a Colonia, oppure contro i colpevoli degli atti terroristici.  Atteggiamento realistico il nostro. Con verifiche sulla conoscenza della lingua del Paese ospitante (statisticamente sanno, i migranti, di più l’Inglese di tanti europei), colloqui e verifiche sui caratteri delle leggi costituzionali dei Paesi europei ospitanti, step progressivi verso l’apprendimento delle nozioni di pluralismo e di rispetto culturale accettate da noi europei, in particolare nelle relazioni uomo-donna. Tutto ciò senza voler appiattire le peculiarità socioculturali di tutte le diversità presenti nelle molteplici stratificazioni sociali del movimento dei migranti. Anche noi europei dobbiamo allargare la nostra memoria storica per comprendere come i conflitti sociali e rivendicativi dei decenni precedenti sviluppatisi in tutta Europa, delle innovazioni e degli stili di vita differenti, anche fortemente, non possono che darsi all’interno di spazi sociali e politici, come quelli dell’Occidente giudaico-cristiano, producendo realtà pluralistiche dove, innan-zitutto, vengono legittimate le minoranze e le opposizioni sociali, come il sale della nostra libertà.