Agorà

Docufilm. Abou, il migrante con la videocamera

Alessandra De luca giovedì 23 febbraio 2017

L’uomo con la macchina da presa. È il titolo di un celebre documentario di Dziga Vertov attraverso il quale il regista teorizzava la possibilità di infrangere le barriere e colmare le distanze tra la gente. Ma è anche la definizione giusta per Les Sauteurs, il documentario dei danesi Moritz Siebert ed Estephan Wagner, Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Berlino 2016, distribuito oggi nelle sale dalla Zalab di Andrea Segre. I due registi hanno affidato a un migrante, il malindi Abou Bakar Sidibé, una videocamera perché fosse lui stesso a raccontare la vita precaria e quotidiana, i sogni, i sacrifici, le speranze e il dolore di un gruppo di uomini sub-sahariani che, in attesa di passare il confine con l’Europa, formano una piccola comunità intrappolata sul Monte Guruguru che domina Melilla e separa il Marocco dalla Spagna in terra africana.

La voglia è quella di incontrare e osservare gli esseri umani protagonisti delle vicende più drammatiche degli ultimi anni, restituire loro la dignità calpestata, ascoltare le loro storie capaci di sgretolare pregiudizi e luoghi comuni su migranti e rifugiati, raccogliere la loro speranza in una vita diversa e libera oltre il filo spinato. Abou, che per oltre un anno ha tentato di oltrepassare una delle frontiere più militarizzate d’Europa insieme ai compagni, incuranti dei fallimenti e delle botte, teme la violenza della polizia, il filo spinato, gli spray urticanti, il freddo e la fame, ma anche le promesse mancate di un’Europa immaginata come l’Eldorado, ma incapace di accogliere chi fugge dalla miseria, dalla fame e dalle guerre. Al centro di questo racconto c’è dunque l’uomo e il suo viaggio che diventa metafora di un percorso più universale, bellissimo e feroce. Poco a poco Abou si trasforma da protagonista della vicenda a testimone, la videocamera diventa la sua voce, le immagini il suo modo di esprimersi e comunicare.

«Quando filmo riesco a sentire di esistere» dice, aggiungendo osservazioni su come cambia la realtà osservata attraverso l’obiettivo della videocamera. Les Sauteurs allora è anche un film su cosa significhi fare cinema, leggere la realtà, restituirla filtrata dal proprio punto di vista. Dopo tanti mesi sulla montagna, dopo essere stato testimone di rinunce, tragici incidenti, tradimenti e violenze, Abou è riuscito ad arrivare in Germania. Lo abbiamo raggiunto al telefono e lui, che vive in un campo in Baviera, ci ha raccontato la sua esperienza, la scoperta del fare cinema, la voglia di continuare a esprimersi attraverso questo mezzo.

«La videocamera è l’unico strumento che finora mi ha regalato l’opportunità di esprimere me stesso. Sento di esistere davvero quando registro la realtà intorno a me. Ho trovato il modo di raccontare i miei sentimenti, di interpretare il mondo che mi circonda, documentare la vita a Guruguru, di spiegare perché eravamo li, perché sognavamo di oltrepassare il confine. Di dirvi da dove veniamo, chi siamo e dove vogliamo andare. Perché rischiamo la nostra vita per raggiungere l’Europa, che sembra a due passi da noi, ma così lontana».

«Quando definisco l’Europa un Eldorado – continua – è solo per dare a me e ai miei compagni il coraggio di andare avanti, continuare a sperare che oltre il confine ci aspetti un mondo più giusto. Sappiamo benissimo che in Europa non siamo i benvenuti. A dispetto di chi ci accoglie, e in tv ho ascoltato le bellissime parole del Papa, i media contribuiscono a non restituire una buona immagine dei migranti e dei rifugiati, perché appartengono a quei governi che ci rifiutano dimenticando le ragioni per cui siamo qui. Abbandoniamo i nostri paesi di origine per ragioni molto gravi, altrimenti non rischieremmo la vita per venire in Europa. Non vogliamo i vostri soldi, il vostro lavoro o le vostre donne, sfuggiamo a qualcosa di terribile spesso causato dalla stessa Europa che si è presa tutto e ora ci respinge».

L’opportunità offerta ad Abou non è rimasta senza frutti. Sempre sotto la guida di Siebert e Wagner, l’uomo ha ripreso in mano la videocamera e ha cominciato a filmare per raccontare le difficili condizioni di vita in Europa e la totale mancanza di integrazione. «Sono al lavoro su un altro film, ho imparato tante cose ma voglio continuare su questa strada che mi ha aperto gli occhi. Credo che il cinema abbia il potere di cambiare la testa di alcune persone, quelle che hanno voglia di imparare, capire chi siamo veramente e cosa vogliamo. Nessuno può giudicarci sulla base dei pregiudizi, siamo esseri umani come tutti, con gli stessi sogni e bisogni di voi che avete sempre vissuto da quest’altra parte della barriera».