Un campione. Il miglior difensore della pallacanestro mondiale nel 2004, quando giocava con i colori dell’Indiana Pacers. E tra i protagonisti del trionfo Nba targato 2010 tra le fila dei Los Angeles Lakers, in compagnia di fuoriclasse del calibro di Pau Gasol, Kobe Bryant e Lamar Odom. Il cestista statutitense Ron Artest - che nell’estate 2014 ha deciso di farsi chiamare Metta World Peace - ha voluto, a 36 anni, di rimettersi in gioco a Cantù nel massimo campionato di casa nostra. E a chi pensava che fosse venuto in Italia con l’idea di fare le vacanze risponde con prestazioni da giocatore vero. Perché lui fa le cose sul serio. Da sempre.
A un mese dal suo debutto che giudizio dà della pallacanestro italiana? «La Serie A è un campionato di buon livello, ci sono buone squadre e numerosi giocatori di talento. A dire il vero, la pallacanestro italiana è anche meglio di quanto mi aspettassi. Prima di accettare la proposta avevo chiesto notizie, fra gli altri a Darius Johnson-Odom, mio compagno di squadra ai tempi dei Lakers e oggi al mio fianco a Cantù. Me ne avevano parlato tutti bene e ora posso dire che avevano ragione».
Al suo arrivo, c’è chi ha pensato che fosse uno dei tanti ex fuoriclasse in cerca di una sistemazione per un fine carriera senza troppi sussulti. Il campo ha detto, invece, che ha ancora una grande voglia di giocare. «Sono venuto qui per giocare. E per farlo bene. Ho 36 anni e l’intenzione di giocare fino ai 40. Avevo ricevuto proposte anche dalla Nba, ma ho scelto l’Europa per mettermi alla prova in un campionato che non conoscevo. So che qui devo giocare duro, perché nessuno ti regala niente, come è giusto che sia».
Ha già deciso se rimarrà in Italia anche la prossima stagione? «Non ne ho ancora parlato con la società, ma credo ci siano buone possibilità. Mi piace Cantù e sarei felice di giocare ancora qui».
Come ha fatto ad adattarsi così in fretta? Quali le differenze con il basket Usa?«Nella Nba si gioca soprattutto con il fisico, che ti consente di aprire i varchi e avere la meglio sugli avversari. In Italia, invece, sono gli schemi e la tattica a farla da padrone. Certo, giocare a zona non mi piace moltissimo, ma mi sto adeguando per il bene della squadra. Sono contento di aver fatto bene nelle prime partite: in campo do sempre tutto quello che ho».
Cosa prova quando le chiedono conto della rissa tra Indiana e Detroit nel 2004 che le costò 73 giornate di squalifica? Dove ha trovato la forza per mettersi in discussione e cambiare l’approccio alla vita di tutti i giorni?«Sono passati dieci anni, non mi interessa tornare su quanto è successo perché sono un giocatore differente. A quei tempi entravo in campo per dimostrare di essere sempre il più bravo, giocavo in modo aggressivo, con una rabbia che mi impediva di concentrarmi al meglio. Oggi sono una persona diversa. Ho imparato a essere più sereno quando scendo in campo. Sono cambiato tanto».
Ancora due gare e il campionato lascerà il posto ai playoff. Crede che il traguardo sia alla portata di Cantù? «Assolutamente sì. Possiamo giocarcela fino in fondo, dipende soltanto da noi».
È venuto per la prima volta nel nostro Paese quando aveva 17 anni per un torneo con la St. John’s University. Ha trovato un’Italia diversa da quella che ricordava?«Allora ero giovanissimo e mi interessava soprattutto giocare. Ricordo di aver visitato diverse città, ma la testa era tutta sulla pallacanestro. Per questo fare un confronto con il passato è difficile. Posso dire, però, che la realtà che ho trovato mi piace tantissimo».
Che opinione si è fatto degli scontri dei giorni scorsi a Baltimora dopo il funerale dell’afroamericano morto in prigione?«Non ho seguito con attenzione quanto è accaduto, ma penso che il rispetto verso il prossimo sia, comunque, alla base di una società civile. Negli Stati Uniti come nel resto del mondo».
Come giudica l’operato di Barack Obama alla Casa bianca? «È una brava persona ed è un buon presidente. Credo che finora abbia fatto bene».
Si dice che presti molta attenzione alla sua dieta. È vero che si porta la scorta di cibo anche in trasferta?«Sì, sono molto attento a quello che mangio, sono un giocatore professionista e non potrei fare altrimenti. Se mangi bene, rendi meglio in campo e io voglio giocare ancora a lungo».
È stato allo stadio San Siro per vedere il derby Inter-Milan. Curiosità o vera passione?«Era la prima volta che seguivo una partita di calcio in Italia. Mi sono divertito e ho conosciuto molte persone, tra le quali il presidente dell’Inter, Erick Thohir. È stata una bella esperienza, ma non posso dire che il calcio sia per me una passione».
Negli Stati Uniti dicono che fra qualche anno il calcio a stelle e strisce supererà per interesse gli sport più amati dagli americani, pallacanestro compresa. Possibile?«Il calcio è conosciuto in tutto il mondo e negli Stati Uniti l’interesse per questo sport sta crescendo tantissimo. Non so se riuscirà a diventare più popolare del basket, ma certamente è molto seguito».
È stato compagno di squadra di Kobe Bryant nei Lakers. Cosa l’ha più colpita di lui? È davvero il miglior giocatore al mondo? «Sì, Kobe è il giocatore più forte al mondo, perché pensa e ragiona da vincente. Si prepara e si allena ancora oggi con la stessa voglia e determinazione di quando aveva 20 anni. Ci sono molti altri giocatori di talento nella Nba, come LeBron James e Kevin Durant, ma Kobe è il migliore perché ha una mentalità che lo rende unico».
Alessandro Gentile dell’Olimpia Milano potrebbe essere il prossimo cestista di casa nostra a sbarcare nella grande lega americana. Quale consiglio si sentirebbe di dargli?«È stato mio avversario nel derby che abbiamo giocato e vinto un paio di settimane fa. È un buon giocatore e sono convinto che potrà fare bene anche in Nba. Cosa gli consiglio? Di giocare sempre al massimo delle sue possibilità e di non avere timore di tirare fuori i muscoli. Da quelle parti non si scherza e il fisico viene prima di tutto».