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Archeologia. Messico, scoperti nella foresta nuovi insediamenti della civiltà maya

Erica Vailati martedì 5 novembre 2024

Una piramide maya del Tikal National Park, in Guatemala

I Maya costruirono città che la comunità scientifica ancora non conosce: a suggerirlo è uno studio, pubblicato sulla rivista accademica “Antiquity”. «Questo mette un punto esclamativo dietro l'affermazione che, no, non abbiamo trovato tutto, e sì, c'è molto altro da scoprire». Le parole di Luke Auld-Thomas, docente del dipartimento di Antropologia della Northern Arizona University, chiariscono le conclusioni emerse dalla ricerca “Running out of empty space: environmental lidar and the crowded ancient landscape of Campeche, Mexico”.

La regione analizzata è quella dello Stato messicano di Campeche, nella penisola dello Yucatán, dove si trova una delle più ampie “macchie vuote” rimaste inesplorate delle pianure maya. A partire dagli anni ’70, alcuni studiosi hanno dimostrato che nell’area sono presenti numerosi insediamenti con terrazzamenti e muri di cinta, ma si tratta di ricerche molto meno frequenti e approfondite rispetto a quelle effettuate su altre zone anticamente popolate dai Maya. Per esaminare questo territorio è stato impiegato uno strumento di telerilevamento, il lidar, che grazie a un laser è in grado di misurare dall’alto la distanza fra due oggetti e di determinare le composizioni chimiche degli elementi che attraversa o colpisce. Una tecnologia che nello scorso decennio si è rivelata moto efficace nella documentazione di intere regioni, anche quelle coperte da foreste particolarmente fitte. Si tratta, però, di una tecnica molto costosa e non è facile trovare finanziamenti per studiare zone sconosciute e potenzialmente prive di scoperte interessanti.

L'area presa in esame nello Stato messicano di Campeche - "Antiquity", Cambridge University Press

«Cosa succederebbe se un rilievo lidar di quest'area esistesse già?». È grazie a quest’intuizione di Auld-Thomas che gli archeologi hanno preso in esame dati, relativi a una superficie di 122 chilometri quadrati, che sono stati raccolti nel 2013 nell’ambito del progetto “Alianza M-REDD+”, volto a monitorare il livello di carbonio nelle foreste messicane. «Gli scienziati in ecologia, selvicoltura e ingegneria civile hanno utilizzato il lidar per studiare alcune di queste regioni per scopi totalmente diversi», specifica il docente della Northern Arizona University. A partire da questi rilevamenti, il gruppo di ricercatori ha individuato 6.764 strutture riconducibili alla civiltà maya, con una densità di 55,3 costruzioni per chilometro quadrato.

Lo studio si fonda sul concetto di “urbanistica a bassa densità”, riferito a quegli insediamenti abitativi che si sviluppano in modo dispersivo nello spazio. La maggioranza degli archeologi, però, riconosce che questi sistemi si distribuiscono in modo eterogeneo: i paesaggi urbani possono avere densità insediative diverse, con delle differenze all’interno degli stessi insediamenti, fra gli insediamenti e l’hinterland e fra le subregioni del medesimo territorio. Con l’aumento delle analisi su questo tema, i ricercatori dispongono di una quantità crescente di dati che delineano un “passato denso”, caratterizzato da un maggior numero di città con densità variabili. Gli archeologi guidati da Auld-Thomas si sono concentrati su una questione ancora aperta: cosa rivelano le aree non ancora mappate? Confermano un passato densamente popolato o delineano zone meno occupate di quanto si pensasse in precedenza?

Il territorio esaminato è stato suddiviso in tre blocchi. Nel primo, gli studiosi hanno trovato una piramide con uno stile riconducibile al sito archeologico di Río Bec, situato a sud-est dell’area analizzata. A spiccare, però, è un complesso architettonico accanto a una profonda voragine attraverso cui si accede a un sistema di grotte parzialmente crollato. Il canale che lo circonda ricorda un quadrifoglio, forma che nell’arte mesoamericana rappresenta cave e doline. Ma è nel secondo blocco che i ricercatori hanno fatto la scoperta più interessante: la città di Valeriana, chiamata così dal nome della vicina laguna di acqua dolce e fino a oggi sconosciuta alla comunità scientifica.

A sinistra, il primo blocco analizzato; in alto a destra, la piramide nello stile di Río Bec; in basso a destra, la voragine, il sistema di grotte e il canale a quadrifoglio - "Antiquity", Cambridge University Press

L’insediamento comprende due complessi monumentali, collegati da una struttura lunga due chilometri che attraversa il paesaggio. A questi si aggiungono costruzioni e infrastrutture agricole distribuite su tutta la superficie del secondo blocco, pari a 16,6 chilometri quadrati. Il quartiere principale di Valeriana presenta tutti i tratti caratteristici della classica capitale politica dei Maya: piazze chiuse collegate da una strada rialzata, piramidi adibite a templi, un bacino che sbarra il corso di un torrente stagionale e edifici con un patio residenziale la cui forma ricorda quella di un anfiteatro. Nel terzo settore, invece, a balzare all’occhio degli archeologi sono state delle strutture circolari impiegate per la produzione di intonaco a calce e diffuse tra la popolazione Puuc, che dominò la regione a sud dell’odierna Mérida durante il periodo classico della civiltà maya (250-900 d.C.).

Dettagli della città di Valeriana - "Antiquity", Cambridge University Press

«La nostra analisi non solo ha descritto il quadro di una regione densamente popolata di insediamenti, ma ha anche rivelato molta variabilità», afferma Auld-Thomas. Secondo il ricercatore, queste scoperte necessitano ulteriori approfondimenti e ricerche sul campo: «C’è ancora molto da imparare».