Shoah. La musica e la morte. Messiaen, la luce in fondo al lager nazista
Olivier Messiaen tra altri musicisti nel campo di prigionia di Görlitz
ll concerto del 15 gennaio 1941 con musica creata per l’occasione da Messiaen rappresenta un evento storico. Un miracolo, per le condizioni in cui avvenne, ma anche un precedente. Questo libro (leggi in fondo) è importante per le molte cose che tiene insieme e valorizza: opere grafiche che richiamano l’eterna gigantomachia tra lo Spirito e la Morte, un testo che ricorda le condizioni in cui Messiaen produsse il suo lavoro; il riferimento soprattutto a una musica che ancora oggi si ascolta con piacere e commozione. Nel suo insieme questo lavoro costituisce anche un monito, l’occasione per riflettere su come nel ’900 dei totalitarismi anche musica e cultura potessero essere vittime dei deliri sull’arte degenerata e strumento non ultimo delle politiche di persecuzione e sterminio.
È noto come negli inferni concentrazionari nazisti gli aguzzini favorissero l’organizzazione di bande musicali e gruppi corali, a Theresienstadt furono addirittura organizzate delle stagioni operistiche. Era un modo diabolico di rendere davvero totalitaria, cioè tale da compromettere l’intera esistenza umana, materiale e spirituale, la realtà dei campi. La presenza di orchestrine composte da detenuti serviva anche a camuffare meglio, durante le sporadiche visite dei campi da parte della Croce Rossa, la vera natura di quei luoghi. Per noi dunque non solo ricordare necesse est. Ma anche recuperare il senso autentico della musica, dell’arte e della cultura, come vertici della libertà e della creatività umana. Antiveleno contro tutte le subculture della Morte e della Violenza. Il modo migliore per opporre alla barbarie totalitaria non solo una condanna di routine, ma i sensi di un superiore livello di civiltà e di dignità umana. Perché ancora e sempre possa dirsi di noi tutti: «Nati non foste per viver come bruti». (Liliana Segre)
Stalag VIII A, così l’organizzazione militare tedesca aveva identificato il campo di prigionia di Görlitz, cittadina nel nord della Slesia che oggi segna il confine tra Germania e Polonia. Una lapide all’ingresso, ricorda che dal 7 settembre 1939 all’8 maggio 1945, quando venne liberato dall’esercito russo, in quel campo transitarono 120.000 prigionieri, precisando: «L’elevato numero di morti era causato dalla fame, dal freddo, dalle malattie e dai brutali omicidi commessi dai responsabili dello Stalag».
Mercoledì 15 gennaio 1941, con una temperatura esterna attorno ai quindici gradi sotto zero, nasce lì il Quatuor pour la fin du Tempsdi Olivier Messiaen. Jean Le Boulaire suonava il violino, Étienne Pasquier il violoncello, Henri Akoka il clarinetto, lo stesso Messiaen il pianoforte. Organico rarissimo per un quartetto, però l’unico possibile in quelle circostanze: «Ho scritto un quartetto per i musicisti e gli strumenti che avevo, per così dire, sotto mano. Avevo bisogno di pensare alla musica, di farla, per sentirmi vivo. Sono partito da un’immagine molto amata, quella dell’Angelo che annuncia la fine del Tempo».
I soldati detenuti nello Stalag VIII A erano circa 30.000: per la maggior parte francesi, polacchi, belgi, serbi; verranno poi gli inglesi, i russi, gli statunitensi. Dopo l’8 settembre 1943, anche molti italiani, quelli che rifiuteranno di aderire alla Repubblica di Salò.
Prima di iniziare il concerto, Olivier Messiaen, che aveva 32 anni, si rivolse a quello speciale pubblico di prigionieri citando i versi iniziali del decimo capitolo dell’Apocalisse di Giovanni: «Vidi un altro Angelo possente, che scendeva dal cielo avvolto da una nube; sopra il capo aveva l’iride, il suo volto era come il sole e le gambe sembravano colonne di fuoco. Teneva in mano un piccolo libro aperto e pose il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, alzò la mano verso il cielo e giurò, per Colui che vive nei secoli dei secoli, dicendo che non vi sarà più dilazione di tempo, ma nel giorno in cui si farà sentire la voce del settimo Angelo e quando si disporrà a suonare la tromba, allora il mistero di Dio sarà compiuto».
Prima dell’esecuzione, che si tenne nella baracca n. 27B adibita a teatro e dove avevano luogo anche spettacoli di prosa e si proiettavano film di propaganda, gli altri tre interpreti manifestarono al compositore la loro gratitudine per averli coinvolti nella iniziativa: «Campo di Görlitz. Blocco 27B, il nostro teatro. Fuori: notte, neve, infelicità. Qui, un miracolo. Il Quartetto per la fine del Tempo ci trasporta in un Paradiso meraviglioso, ci solleva dall’abominevole suolo. Un grazie immenso, caro Olivier Messiaen, poeta di Eterna Purezza», scrive Étienne Pasquier.
«Un grazie immenso a Olivier Messiaen, che mi ha rivelato la Musica. Cerco invano con queste poche parole di dimostragli la mia gratitudine, ma dubito che ne sarò mai capace», gli fa seguito Henry Akoka. «A Olivier Messiaen, mio grande amico, che mi ha fatto intraprendere un grande e magnifico viaggio in un mondo meraviglioso», aggiunge Jean Le Boulaire, violinista. Quattro storie, quattro esperienze, quattro diverse culture, unite dalla e nella musica: Messiaen, cattolico, diceva di sé: «Sono nato credente»; Akoka proveniva da una famiglia ebrea di origine algerina; Pasquier si definiva agnostico, ma era persuaso dell’esistenza della divinità: «La musica di Schubert è divina». Le Boulaire si considerava ateo.
Il Quartetto per la fine del Tempo è diviso in otto movimenti. Sette, ritiene Messiaen, è il numero perfetto, la creazione di sei giorni santificata dallo Shabat divino; il sette di questo riposo si prolunga nell’eternità e diventa l’Otto «della luce indefettibile, della pace che non si può profanare». Riguardo alla presenza di momenti e di visioni di profonda gioia nella sua opera, Messiaen ricordava che «si conosce male il libro dell’Apocalisse se vi si vede soltanto un accumulo di cataclismi e di catastrofi; l’Apocalisse> contiene anche luci meravigliose, seguite da silenzi solenni».
Apocalisse come rivelazione del mistero del Tempo. Messiaen pretende che Temps sia scritto con l’iniziale maiuscola. Quando il nostro tempo determinato e misurabile finirà, allora potrà vivere un altro Tempo, quello dell’eternità, che oltrepassa le nozioni stesse di passato, presente, avvenire.
«La scelta dell’Angelo che annuncia la fine del Tempo riposa su ragioni profonde. Da musicista, ho sempre lavorato sul ritmo. Il ritmo è, per sua stessa essenza, cambiamento, divisione. Studiare il cambiamento e la divisione significa studiare il tempo: il tempo – determinato, relativo, fisiologico, psicologico – si divide in mille maniere diverse, e per noi uomini la più immediata è una continua conversione dell’avvenire nel passato: la memoria. Quali problemi. Nell’eternità non esisteranno più, però sono i problemi che mi sono posto nel mio Quartetto».
La memoria, e noi siamo la nostra memoria. Soltanto la spada che infligge la ferita, può sanarla. Quella sera del 15 gennaio 1941, finito il concerto, un prigioniero si avvicinò ai quattro musicisti e disse: «Questa musica ci riscatta tutti. Non ci riporta dove siamo, ma a quello che siamo. Esseri umani». Perché la vicenda di questo Quartetto, le circostanze in cui è stato composto ed eseguito, raccontano l’abiezione, l’orrore di cui può macchiarsi l’essere umano e la grandezza che gli è concesso di raggiungere. L’angelo che annuncia la fine del Tempo: il suo mistero non si può rappresentare, non si può vedere. È un mistero che chiama la musica, il segno sublime della nostra transitorietà, della nostra speranza. (Sandro Cappelletto)
Il libro. Le pagine sonore di Görlitz
Il 15 gennaio 1941, in una baracca dello Stalag nazista di Görlitz, una cittadina allora tedesca e oggi polacca, e di fronte a un pubblico formato da alcune centinaia di prigionieri di guerra, nasce il Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen. In occasione degli 80 anni dalla prima esecuzione, le Edizioni Colophon di Egidio Fiorin pubblicano un volume, Görlitz 15 gennaio 1941 che contiene una testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre, qui in pagina, quattro disegni originali di Mimmo Paladino (nella foto sotto), uno scritto di Sandro Cappelletto (tutti i testi sono tradotti anche in francese). E un cd, realizzato in collaborazione con l’Accademia Perosi di Biella, in cui i solisti dell’Ex Novo Ensemble (Davide Teodoro, clarinetto; Carlo Lazari, violino; Carlo Teodoro, violoncello; Aldo Orvieto, pianoforte) interpretano il capolavoro del compositore francese.
Uno dei quattro disegni di Mimmo Paladino contenuti nel libro - Mimmo Paladino