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IDEE. Meno male che c'è Darwin

Francisco José Ayala sabato 11 luglio 2009
Darwin estese la teoria dell’e­voluzione per selezione na­turale agli esseri umani in The Descent of Man («L’origine dell’uomo»), che pubblicò nel 1871, dodici anni dopo L’origine delle spe­cie . I fossili intermedi tra l’uomo e la scimmia, i famosi «anelli man­canti » di cui tanto parlavano i suoi critici, dovevano ancora essere sco­perti. Gli anelli mancanti non man­cano più. Dall’epoca di Darwin so­no stati rinvenuti migliaia di resti fossili intermedi (denominati «omi­nidi »), e il ritmo delle scoperte cre­sce sempre di più. I primi ominidi, il Sahelanthropus del Ciad, l’Orro­rin del Kenia e l’Ardipithecus dell’E­tiopia, hanno circa 6 milioni di an­ni. Molti esemplari di Australo­pithecus afarensis sono stati trovati nella regione di Mar, in Etiopia. Si tratta dei nostri probabili progeni­tori, che vissero 4 milioni di anni fa ed erano bipedi, ma avevano un cervello piccolo, di soli quattro etti e mezzo, un terzo del peso attuale del cervello umano. Homo habilis, nostro antenato di due milioni di anni fa, era arrivato a un peso ence­falico di 700 grammi. Il suo discen­dente, Homo erectus, che dall’Africa si diffuse in Asia ed Europa, aveva un cervello di oltre 900 grammi e, assieme alle specie cugine, visse molte centinaia di migliaia di anni. La nostra specie, Homo sapiens, si evolse in Africa circa centocinquan­tamila anni fa e da lì si distribuì in tutti i continenti. Restano due gran­di enigmi nell’evoluzione umana. Il primo è rappresentato dalla base genetica della trasformazione scim­mia- uomo. Il genoma umano e il genoma dello scimpanzé sono stati sequenziati. Ciascuno dei due con­siste di 3 miliardi di lettere, ossia le quattro basi nucleotidiche disposte linearmente lungo i filamenti di D­na. I genomi dell’uomo e dello scimpanzé differiscono di poco più dell’1%, eppure l’uomo ha vantaggi rilevanti rispetto alla scimmia: un cervello molto più grande, il lin­guaggio, una tecnica, un’arte, un’e­tica e una religione. Il secondo enig­ma è rappresentato dal passaggio dal cervello alla mente. Sappiamo che i 30 miliardi di neuroni del no­stro cervello comunicano tra loro e con altre cellule nervose attraverso segnali chimici ed elettrici. In che modo questi segnali si trasformano in percezioni, sentimenti, idee, ar­gomentazioni critiche, emozioni e­stetiche e valori etici e religiosi? E in che modo dalla diversità delle espe­rienze emerge una realtà unitaria come la mente o sé? L’anima creata da Dio, potrebbe osservare qualcu­no, spiegherebbe sia il passaggio dalla scimmia all’uomo sia quello dal cervello alla mente. Questa ri­sposta religiosa sarà magari soddi­sfacente per i credenti, ma non lo è sotto il profilo scientifico. Non sap­piamo ancora come le caratteristi­che anatomiche e comportamentali che ci differenziano dalle grandi scimmie emergano dalle nostre dif­ferenze genetiche; non conosciamo ancora i correlati biologici capaci di spiegare le nostre esperienze psico­logiche. I fautori del disegno intelli­gente sostengono che la teoria dell’evoluzione è incompatibile con la fede religiosa. Curiosamente, condividono tale convinzione con gli scienziati materialisti. A mio av­viso invece entrambi, i primi come i secondi, si sbagliano: scienza e reli­gione sono compatibili, perché si interessano a campi d’indagine di­versi. La scienza è un metodo di co­noscenza, ma non è l’unico. L’espe­rienza comune, la letteratura d’im­maginazione, l’arte e la storia forni­scono una valida conoscenza della realtà. Il senso e lo scopo del mon­do e della vita umana, così come le questioni inerenti ai valori morali o religiosi, trascendono la scienza, eppure sono importanti; per la maggior parte di noi, sono impor­tanti almeno quanto la conoscenza scientifica di per se stessa.