Darwin estese la teoria dell’evoluzione per selezione naturale agli esseri umani in The Descent of Man («L’origine dell’uomo»), che pubblicò nel 1871, dodici anni dopo L’origine delle specie . I fossili intermedi tra l’uomo e la scimmia, i famosi «anelli mancanti » di cui tanto parlavano i suoi critici, dovevano ancora essere scoperti. Gli anelli mancanti non mancano più. Dall’epoca di Darwin sono stati rinvenuti migliaia di resti fossili intermedi (denominati «ominidi »), e il ritmo delle scoperte cresce sempre di più. I primi ominidi, il Sahelanthropus del Ciad, l’Orrorin del Kenia e l’Ardipithecus dell’Etiopia, hanno circa 6 milioni di anni. Molti esemplari di Australopithecus afarensis sono stati trovati nella regione di Mar, in Etiopia. Si tratta dei nostri probabili progenitori, che vissero 4 milioni di anni fa ed erano bipedi, ma avevano un cervello piccolo, di soli quattro etti e mezzo, un terzo del peso attuale del cervello umano. Homo habilis, nostro antenato di due milioni di anni fa, era arrivato a un peso encefalico di 700 grammi. Il suo discendente, Homo erectus, che dall’Africa si diffuse in Asia ed Europa, aveva un cervello di oltre 900 grammi e, assieme alle specie cugine, visse molte centinaia di migliaia di anni. La nostra specie, Homo sapiens, si evolse in Africa circa centocinquantamila anni fa e da lì si distribuì in tutti i continenti. Restano due grandi enigmi nell’evoluzione umana. Il primo è rappresentato dalla base genetica della trasformazione scimmia- uomo. Il genoma umano e il genoma dello scimpanzé sono stati sequenziati. Ciascuno dei due consiste di 3 miliardi di lettere, ossia le quattro basi nucleotidiche disposte linearmente lungo i filamenti di Dna. I genomi dell’uomo e dello scimpanzé differiscono di poco più dell’1%, eppure l’uomo ha vantaggi rilevanti rispetto alla scimmia: un cervello molto più grande, il linguaggio, una tecnica, un’arte, un’etica e una religione. Il secondo enigma è rappresentato dal passaggio dal cervello alla mente. Sappiamo che i 30 miliardi di neuroni del nostro cervello comunicano tra loro e con altre cellule nervose attraverso segnali chimici ed elettrici. In che modo questi segnali si trasformano in percezioni, sentimenti, idee, argomentazioni critiche, emozioni estetiche e valori etici e religiosi? E in che modo dalla diversità delle esperienze emerge una realtà unitaria come la mente o sé? L’anima creata da Dio, potrebbe osservare qualcuno, spiegherebbe sia il passaggio dalla scimmia all’uomo sia quello dal cervello alla mente. Questa risposta religiosa sarà magari soddisfacente per i credenti, ma non lo è sotto il profilo scientifico. Non sappiamo ancora come le caratteristiche anatomiche e comportamentali che ci differenziano dalle grandi scimmie emergano dalle nostre differenze genetiche; non conosciamo ancora i correlati biologici capaci di spiegare le nostre esperienze psicologiche. I fautori del disegno intelligente sostengono che la teoria dell’evoluzione è incompatibile con la fede religiosa. Curiosamente, condividono tale convinzione con gli scienziati materialisti. A mio avviso invece entrambi, i primi come i secondi, si sbagliano: scienza e religione sono compatibili, perché si interessano a campi d’indagine diversi. La scienza è un metodo di conoscenza, ma non è l’unico. L’esperienza comune, la letteratura d’immaginazione, l’arte e la storia forniscono una valida conoscenza della realtà. Il senso e lo scopo del mondo e della vita umana, così come le questioni inerenti ai valori morali o religiosi, trascendono la scienza, eppure sono importanti; per la maggior parte di noi, sono importanti almeno quanto la conoscenza scientifica di per se stessa.