Intervista. Melody Gardot, «Il mio blues per gli ultimi»
«Non vedo l’ora di tornare a cantare in Italia con Vinicio Capossela che ho conosciuto a Umbria Jazz, un artista così originale, oppure con quel quel vostro trombettista eccezionale, come si chiama? ah sì, Fabrizio Bosso». Occhiali modello Ray Ban scurissimi, cappellone nero, ovale perfetto su un fisico statuario, l’americana Melody Gardot potrebbe apparire come una delle tante star del pop internazionale. Ma, come ci spiega incontrandola a Londra, «dietro all’apparenza di ogni persona, c’è una storia».
E nel nuovo album che uscirà il primo giugno per Universal/Decca, e che è già acquistabile tramite prevendita online, con il titolo Currency of man (traducibile come “Il valore corrente di un uomo”), prodotto da Larry Klein (Joni Mitchell e Herbie Hancock per intenderci) di storie ce ne sono tante, soprattutto di ultimi. Suddivise in due edizioni: la prima con 10 brani, la seconda chiamata The artist cut con 15 brani, scritti di suo pugno e cantante con voce calda e suadente con un timbro che dal jazz, con quale Melody nasce, ora vira sul blues, con forti commistioni con l’elettronica e con echi cinematografici dovuti all’arrangiatore francese Clément Ducol.
«Ho pensato a questo album come un film per raccontare delle storie. Storie di gente caduta dal piedistallo dei suo sogni, gente condannata per il colore della sua pelle o valutata per i soldi che possiede», spiega. Ma è la vita di Melody Gardot a sembrare quella di un film. Cresciuta a Philadelphia, cominciò a prendere lezioni di piano a 9 anni, e a suonare il pianoforte nei locali a 16 anni. Nel 2003, a 19 anni, mentre andava in bicicletta nella sua città, venne travolta da una jeep che non si era fermata a un semaforo rosso.
La ragazza riportò lesioni gravissime alla testa, alla spina dorsale e al bacino e dovette restare in un letto di ospedale per un anno intero. La ripresa fu lenta e faticosa, dovendo di nuovo imparare a muoversi e a parlare, mentre i danni neurologici riportati tuttora la costringono a portare gli occhiali da sole per una eccessiva fotosensibilità, oltre ad averle causato danni alla memoria breve. Ma grazie alla musicoterapia Melody è tornata a vivere e a cantare, ha imparato a suonare la chitarra e a scrivere canzoni affermandosi con i suoi tre album precedenti come una delle più apprezzate stelle del jazz e non solo: 3 milioni di album venduti nel mondo, oltre 80 milioni di streaming, nominata ai Grammy 2013 per l’album The Absence.
«Della mia storia ho parlato molto in passato, perché lo ritenevo importante, Ora è il tempo di parlare degli altri – racconta la Gardot – Dove ho trovato la forza di reagire? È normale, sono una come tanti. Quanti affrontano la perdita di un figlio, un divorzio, la mancanza di un lavoro e di una casa, un cancro? Tutti hanno dentro di sé questa forza, ma spesso non hanno persone che li aiutino a credere in se stessi. Bisogna fare qualcosa per ricordare alla gente quanto l’essere umano sia meraviglioso. Oggi voglio raccontare la realtà».
A partire dal razzismo, ancora presente nella società americana, con Preachermen, un canto blues dolente accompagnato da uno struggente video in bianco e nero, («una sorta di Pietà moderna» aggiunge lei) già online. «Ho voluto raccontare la storia dimenticata di Emmett Till Gardot, un 14enne di colore ucciso nel 1950 da un uomo bianco per un futile motivo, vista con gli occhi di sua nonna. Divenne un simbolo del riscatto dei neri, prima di Martin Luther King. Ma gli ultimi omicidi avvenuti in Florida, a Ferguson e l’anno scorso a New York mostrano quanto ancora sia lunga la strada da percorrere».
Nel video girato sul Mississippi appare anche Edelia Carthan, la cugina del piccolo Till. Negli altri brani la Gardot descrive i personaggi che ha incontrato, spesso di notte, a Los Angeles «con cui io mi fermo a parlare» spiega, come la escort minorenne in She don’t know, «una ragazza finita sulla strada dopo essere rimasta incinta a 17 anni per sfamare suo figlio», oppure il musicista di strada «che ha perso la sua musica perché gli hanno rubato l’armonica», e ancora gli immigrati irregolari fuggiti dalla violenza del Salvador, fino al predicatore diventato uno dei tanti “homeless” di Venice Beach: «Con lui ho parlato sei ore della Bibbia. Io sono buddista, ma mi ha affascinato il suo racconto che intrecciava la storia umana e il divino. Una cosa ho capito: occorre rimettere al centro l’umanità».