Anticipazione. Gioele Dix: meglio Babele o... un altro condono?
La Babele di Bruegel il Vecchio
Si può fare dell’umorismo garbato su un testo sacro? Il dilemma è secolare e ultimamente è stato anche assai critico. In ambito cristiano ed ebraico questo accade da tempo. Come in questo libro di Gioele Dix "La Bibbia ha (quasi) sempre ragione" (Claudiana, pagine 200, euro 19), edizione ampliata di un testo del 2006, in libreria da domani e di cui proponiamo un estratto sul tema della Torre di Babele. Sarà presentato il 26 novembre al Tempio valdese di Milano.
Il mondo si è appena ripopolato dopo il diluvio e regna un’apparente concordia fra i suoi abitanti. Infatti 'tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole'. Segno inequivocabile che una buona comunicazione fra le persone sia alla base di una pace sociale duratura. Ma purtroppo a Dio presto toccherà mandar giù altra amarezza. Sente gli uomini che si parlano e dicono: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi fino al cielo; facciamoci così un nome per non disperderci sulla faccia della terra… Dai! Diamoci dentro! Alla grande! Dai che ce la facciamo! È tutto ok ragazzi!». L’ultima parte l’ho aggiunta io per sottolineare il clima di entusiasmo e cameratismo che si era stabilito fra gli uomini, tutti sovraeccitati e vogliosi di fare. Allora il Signore pensò: «E adesso che succede? Che si sono messi in testa di fare ora? Ma possibile che non posso stare tranquillo un secondo?». È sottinteso che per Lui un secondo significava (e ancora significa) un periodo variabile fra i tre e i quattromila anni. E dunque 'Il Signore discese per vedere la torre che gli uomini costruivano…'. Si sa che Dio non ha alcun bisogno di scendere da nessuna parte, dato che si trova già dappertutto. È scritto così semplicemente per sottolineare quanto Egli sia stato scrupoloso: fece una sorta di sopralluogo per capire meglio cosa avessero in testa i costruttori della torre. Ed è la stessa domanda che si pongono da millenni i teologi e gli uomini di fede. Si sono formate a tal proposito diverse scuole di pensiero. C’è chi ritiene che la torre avesse uno scopo architettonico funzionale: gli uomini si erano messi in testa che il diluvio fosse stato causato da un crollo della volta celeste e volevano puntellarla, per prevenire una seconda catastrofe. Un progetto in stile Protezione Civile, ansiogeno e tendenzialmente inutile. Altri sono convinti che l’edificazione della torre fosse parte di un progetto politico: era necessario mettere in cantiere un’opera pubblica ambiziosa che facesse colpo sugli elettori, anche a costo di procurare danni irreversibili all’ambiente. Altri ancora pensano a un gesto edilizio eversivo, ossia un super grattacielo abusivo con il quale dare la scalata al cielo e detronizzare quel Dio di cui si temeva il giudizio. Comunque, quale che fosse la finalità della torre, Dio decise di bocciare l’iniziativa inventandosi una punizione straordinariamente creativa. E così 'confuse i loro linguaggi'. Il blocco dei cantieri fu immediato, perché nessuno riusciva più a lavorare. «Per favore, mi passi un mattone?». E l’altro gli passava la calce. «Dammi la cazzuola!». «Questo lo dici a tua sorella!». Insomma, come riferisce Savino Brandani, biblista medioevale, «principiaron a fracassar lo cranio l’un con lo altro». Non è molto diverso da quello che accade in molti cantieri contemporanei, fra muratori di origine marocchina e capomastri bergamaschi. La differenza sta nel fatto che ai nostri giorni molti sono clandestini che lavorano in nero e preferiscono tacere piuttosto che parlare. Quanto alle costruzioni abusive, sappiamo bene che Dio non condona mai, mentre noi periodicamente sì.