Palinsesti. Mediaset: «talent» e web contro la crisi
Il punto di partenza è sempre lo stesso: la crisi. Anche martedì sera negli studi Mediaset di Cologno Monzese dove il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi e lo stato maggiore del Biscione hanno presentato alla stampa i palinsesti della prossima stagione: «È una crisi troppo lunga, il nostro Paese sta soffrendo da troppo tempo, non c’è un minuto da perdere » ha detto Berlusconi jr. che, prima di parlare di programmi, si è avventurato nello scivoloso terreno della politica, lasciando persino intendere a qualcuno un suo possibile impegno futuro: «Per il momento mi sembra improbabile anche se mai dire mai» ha risposto, dopo essersi dichiarato «tifoso di Renzi, che ha una grande chance e una grande responsabilità», e convinto della necessità di dare al Paese «la stabilità e le riforme che diano una spinta all’Italia e all’economia e che il governo deve fare in fretta». Nel frattempo, comunque, «Mediaset ha reagito alla crisi e trovato la forza per guardare al futuro», nonostante il taglio di ben 620 milioni di euro in due anni che fanno impallidire i 150 chiesti dal governo alla Rai. Questo sguardo si concretizza, innanzi tutto, in una differenziazione ben definita fra le tre reti generaliste e i loro obiettivi. Per il nuovo direttore generale dei palinsesti Marco Paolini, a Retequattro spetta il compito di «tenere insieme due pubblici », quello che vuole sentir parlare di politica e cronaca con un linguaggio popolare (vedi Quarto Grado e Quinta Colonna) e quello che apprezza la serialità cosiddetta 'alta', proposta con prodotti come La Bibbia, Downton Abbey e, di prossimo arrivo, Call the Midwife. Italia 1, invece, deve continuare a intercettare «il pubblico più attivo», cioè i giovani, con prodotti di prima serata nuovi di zecca come Centoventi (confronto in studio su temi di stretta attualità fra 120 giovani) e One Love (il programma che, promette la cartella stampa, 'aiuta a trovare o ritrovare la persona giusta'). Canale 5, infine, continuerà ad essere la rete generalista per eccellenza, strizzando l’occhio al popolo dei social network («perché la tv genera ascolti e il web li moltiplica» spiega Berlusconi jr.) e agli appassionati di calcio (offrendo, il mercoledì sera, in esclusiva e in chiaro, la migliore partita italiana di ogni turno di Champions League). Tutto questo, per Pier Silvio Berlusconi, si può riassumere in quattro punti cardine: una tv sempre più forte che non ha paura di investire «venti miliardi negli ultimi dieci anni», anche in tempo di crisi; tv e web sempre più legati per un prodotto che sia davvero fruibile su più piattaforme; una pay tv che punti sul calcio, offrendo dal 2015 tutta la Champions League in esclusiva assoluta; una tv che produca sempre più prodotti di qualità, lavorando in campo internazionale. In questa direzione va, ad esempio, la produzione (targata Taodue) del film dedicato a papa Bergoglio Chiamatemi Francesco che sarà diretto da Daniele Luchetti e che andrà sia nelle sale cinematografiche sia (in due puntate) in tv nella seconda metà del 2015. Scorrendo rapidamente l’offerta per la prossima stagione, oltre a quelli già citati, si notano su Canale 5: la riconferma di Maria De Filippi che, a partire dall’autunno, sarà impegnata prima col nuovo talent del sabato sera Tu sì que vales e, a seguire, con C’è posta per te e Amici; l’arrivo de L’isola dei famosi (già cancellata dalla Rai) e di Rising Star, talent musicale pensato per il web; una sfilza di fiction (dal Romeo e Giulietta della Lux Vide al thriller di Squadra antimafia e Il bosco) e film, molti dei quali offerti in anteprima assoluta. Non ci sarà, come forse qualcuno a Mediaset aveva sperato, Giovanni Floris, rimasto in Rai con il suo Ballarò: «Ho già detto più volte che Floris mi piace ma non c’è mai stata nessuna trattativa» puntualizza Pier Silvio Berlusconi che da un lato, marca la differenza tra la televisione commerciale e la Rai, chiamando il pubblico di Mediaset «telespettatori clienti», e, dall’altro, difende l’importanza del servizio pubblico che «è fondamentale sia per problematiche culturali e aziendali sia per tenere alta l’asticella della concorrenza».