La sfida. Pedote: «Io su una barca a vela fino ai confini del mondo»
Giancarlo Pedote in navigazione / Polaryse
Il giro del mondo in meno di ottanta giorni, da soli su una barca a vela di circa 8 tonnellate e mezzo, lunga poco più di 18 metri che viaggia fino a 65 all’ora. Vendée Globe significa regatare senza scali e assistenza, circumnavigando completamente l’Antartide. La decima edizione scatterà domenica 10 novembre da Les Sables d’Olonne, quindi direzione Sud fino al Capo di Buona Speranza, poi verso Est, lasciandosi a sinistra Capo Leeuwin e Capo Horn, per poi risalire l’Atlantico tornando in Vandea. Per la seconda volta tra i partecipanti ci sarà anche il quarantottenne fiorentino, di stanza a Lorient in Bretagna, Giancarlo Pedote, il filosofo dell’oceano, pronto a salire a bordo di Prysmian.
Giancarlo, cosa è il Vendée Globe?
«Un’avventura pazzesca, perché si compie il giro del mondo in autonomia sfidando condizioni atmosferiche avverse. Affrontarla una seconda volta significa volerci ritornare, dopo aver vissuto un’esperienza umana e sportiva bellissima, scoprendo dentro di sé risorse nascoste».
Come è stato il percorso di avvicinamento all’Everest dei mari?
«Identico a quello di quattro anni fa, ma con più esperienze nella mente e nel corpo. Ho svolto una serie di regate di qualificazione, che occorreva terminare per poter essere tra i 40 skipper selezionati».
Cosa ha cambiato nell’approccio?
«Sono più focalizzato sui dettagli. Nell’allenamento mi sono concentrato nel capire obiettivi e priorità da porre su ogni navigazione, prestando massima attenzione alla cura dell’alimentazione e del sonno, e alle scelte strategiche per la gestione della barca».
Cosa le ha lasciato nell’intimo l’avventura precedente?
«Una grande conoscenza di me stesso, riempiendomi gli occhi di immagini uniche, come gli albatros che volano sulla scia della barca, e il corpo di sensazioni particolari, come l’aria gelida del Polo Sud quando sei tra i Quaranta ruggenti e i Cinquanta urlanti. Stati d’animo che oggi mi fanno definire una persona ricca che ha avuto una grande fortuna».
E quale insegnamento ha tratto?
«L’importanza della concentrazione nel presente imminente. Quando ci sono più problemi occorre partire dal più urgente e mettere in fila gli altri. Non esiste la montagna invalicabile, semplicemente per scalarla occorre fare un passo dopo l’altro, mantenendo sempre la concentrazione. Non demordere mai e non darsi per vinti».
Qual è stato il momento più bello?
«Per fortuna sono stati tanti. Aprire i regali di Natale a bordo, conversare a distanza con la mia famiglia, navigare nel grande Sud, passare Capo Horn. E poi l’emozione della partenza e la gioia dell’arrivo».
E l’attimo più brutto?
«Anche qui sono stati tanti. Le avarie tecniche, cose che ovviamente non piacciono a nessuno, il dover salire ben tre volte in testa all’albero, cosa che avrei preferito evitare, il dover fare laminazioni a bordo quando non potevo ammainare una vela e stavo rischiando di spaccare tutto. Gli ostacoli devono essere superati per poter raggiungere le ambizioni, perché sono parte del cammino. Determinano grande tensione e lasciano tracce, eppure adesso li racconto sorridendo».
Quale messaggio vuole trasmettere attraverso questa nuova partecipazione?
«Nessuno in particolare. Sono uno sportivo che partecipa a una regata, cercherò di condividere al meglio i pensieri con le persone che mi sono attorno».
Quale è la filosofia alla base di un navigatore in solitaria?
«Essere autonomi nella gestione delle cose e sapere far squadra col team a terra. Pensare a ogni scenario, cercando di cavarsela da soli non lasciando niente al caso. E soprattutto non avere rimpianti. Ho la fortuna di avere un gruppo molto affiatato che mi segue».
Cosa si prova a isolarsi dal mondo per la durata della gara?
«È un’esperienza unica e difficile da descrivere. Ottanta giorni di solitudine sono molti e si avverte la mancanza di famiglia e amici. Lo spazio di vita nella barca è ristretto, tutto si muove, il letto salta continuamente. L’equilibrio e le abitudini della vita terrestre sono rotti dal nuovo funzionamento. Hai tanti pensieri e riflessioni, fai tanti sforzi, vivi momenti di stanchezza. Tutto ciò lascia un grande bagaglio di esperienza e i problemi insormontabili diventano cose facili».
Quanto è difficile, tornati a casa, rituffarsi nella routine quotidiana?
«All’inizio è choccante. Passi da una vita in cui tutto è centellinato e devi conquistartelo, alla totale assenza di limiti. In barca dormivo al massimo un’ora di fila, farlo otto ore ti sembra quasi ingordo, ritrovi quindi un’abbondanza a cui non eri abituato. Ciò innesca riflessioni e pensi che noi siamo i discendenti degli uomini delle caverne che dovevano tenere il fuoco acceso tutto la notte per non farsi attaccare dagli animali. L’eccessiva sicurezza in cui vive oggi il mondo occidentale toglie le piccole gioie. Quando Leopardi parlava della quiete dopo la tempesta aveva capito che la felicità sta nelle cose semplici, come ritrovare un bel sole dopo una lunga pioggia».
A seguito del suo primo Vendée Globe ha pubblicato due libri: uno per i più grandi ( L’anima nell’oceano) e l’altro per i più piccoli ( Proteggiamo l’oceano). Perché ha deciso di scriverli e perché ha scelto questi titoli?
«L’anima dell’oceano è il racconto dei miei stati emozionali durante il giro del mondo. Mi piaceva condividere senza veli e filtri ciò che avevo vissuto per consentire al lettore di immaginare le mie emozioni. Proteggiamo l’oceano lo considero invece un dovere civico».