Agorà

Anticipazione. Don Mazzolari: lettere agli amici dall’epistolario inedito

Marco Roncalli giovedì 12 luglio 2018

Don Primo Mazzolari (1890-1995) mentre legge nello studio della sua canonica a Bozzolo, nel Mantovano

Destinatari noti, scontati o sorprendenti. Altri meno conosciuti o con profili da scoprire. Laici e sacerdoti. Scrittori e scrittrici, politici e parrocchiane, monsignori e seminaristi, ingegneri e frati. Si rivolgono a loro le quasi settanta lettere inedite tratte dal corposo epistolariano mazzolariano, che abbracciano il periodo dal 1918 al 2 aprile 1959, dieci giorni prima della morte. Si tratta di uno specchio di quasi tutte le fasi significative della vita di don Primo. Con lui tenente cappellano militare in Francia, poi in Italia; parroco a Cicognara, nel viadanese, un paese di 1.300 anime sul Po, dove resta dieci anni; poi a Bozzolo, nel mantovano, dove rimane sino alla fine della sua lunga avventura.

E con parecchie delle vicende che lo coinvolsero: l’esperienza della guerra e del contatto con i soldati che lo spinsero alla logica cristiana della pace; gli aiuti per elevare le condizioni della sua gente e i problemi con il fascismo, specie per i “ribollimenti barbarici” e la “piega antireligiosa”; l’attività di scrittore e formatore di coscienze, apprezzata da molti, non però dal Sant’Uffizio – che lo censurò – e da vari confratelli vicini al gerarca Farinacci; la partecipazione alla Resistenza; la preparazione del futuro nella clandestinità; la nascita del giornale “Adesso” nel dopoguerra; l’impegno di fiancheggiamento a favore della Dc in cui ripose grandi speranze; i libri formidabili destinati a tante future ristampe...

Ma, soprattutto, a fare da collante a un ministero esercitato in modi e luoghi diversi, balzano agli occhi l’adesione continua al Vangelo e la proposta di una spiritualità cristiana vissuta da testimone, prima che insegnata da maestro. Troviamo un po’ tutto questo nell’antologia curata dal cremonese don Bruno Bignami, presidente della Fondazione Mazzolari, teologo, un volume ora in libreria con il titolo Misericordia a bracciate (Edizioni Messaggero di Padova, pagine 120, euro 9,00). Spiccano nella lettura le righe inviate il 27 aprile del ’34 al pastore protestante Giovanni Luzzi che don Primo ringrazia per le meditazioni offerte dal suo libro All’ombra delle sue ali («mi ci trovo tanto tanto bene con tutta l’anima»), rammaricandosi di non poterlo mettere in mano ai suoi confratelli («Ma quando cadranno certi pregiudizi? Quando faremo l’unità?»).

O quelle inviate il 25 dicembre del ’49 a don Loris Capovilla – il futuro segretario di Giovanni XXIII e cardinale centenario – che allora predicava ai microfoni di Radio Venezia e dirigeva “La Voce di San Marco” («Considero l’avervi incontrato come il dono più bello di questo mio Natale. […] pregate per me e mandatemi qualche pagina per Adesso, che vi annovera fra i suoi amici più cari», gli scrive commosso Mazzolari). Non sfugge una lettera indirizzata il 18 maggio 1955 all’allora neo presidente della Repubblica Giovanni Gronchi (il testo integrale in questa pagina), nella quale don Primo (forse colpito dal discorso di insediamento di pochi giorni prima in cui il capo dello Stato riconosceva che «mai la più alta istituzione della Repubblica era 'stata così vicina all’anima popolare»), mette subito in evidenza «l’ansia dei poveri» tributando ampio credito al destinatario.

Ed ecco don Andrea Spada, direttore de “L’Eco di Bergamo” con il quale – il 24 giugno del ’53 – don Mazzolari commenta la morte del vescovo Adriano Bernareggi, sottolineando quanto sapesse «portare la preoccupazione apostolica del nostro tempo con largo, tollerante e comprensivo spirito». E l’amica scrittrice Gabriella Neri destinataria di dieci lettere dove si leggono frasi come «Mi basta il Vangelo e il cuore di chi mi vuol bene» (10 febbraio del ’41), oppure «Le esigenze personali del mio cuore non si placano nella considerazione che c’è Uno che sa tutto. C’è qualche cosa ch’io intravvedo e che mi butta in Dio, non razionalmente ma disperatamente. Io farei più volentieri il processo a me stesso come testimonio di Dio per arrivare un po’ più in là dell’espiazione, che come viene intesa comunemente, è intollerabile» (1° luglio del ’41). E don Guido Astori cui il 28 novembre del 1922 don Primo confida «Qui si tira innanzi con fede molta nell’aiuto di Dio, il quale finora non m’è mancato e m’ha tratto fuori da situazioni che minacciavano di diventare disperate », e oltre trent’anni dopo, il 5 marzo ’53, scrive «Sono stanco di difendermi per ammazzarmi di lavoro per la Chiesa».

E l’amico letterato Ferdinando Durand, cui il 15 maggio del ’40 il parroco di Bozzolo confessa «La misura è colma. Gli uomini non potrebbero tradire di più l’umanità e i nostri sconsacrare un passato e un animo che è rimasto nei secoli il documento più vivo della pietà e della comprensione. Pensa, Ferdinando, dover soffocare tutto mentre tutto scoppia e prende fuoco! Essere un delitto sentire la pietà per gli oppressi, per i desolati, per i nostri fratelli più vicini... Dover fiancheggiare chi calpesta il diritto, la giustizia... le uniche cose più sante e più care della vita! […]. Cerco in Dio tutte le mani che mi si offrono e le stringo per sentirmi meno solo. [...]. Io non faccio che leggere il Vangelo». Toni più da direzione spirituale si rintracciano nelle lettere con amici i cui legami con don Primo sono, come già accennato, da scoprire o riscoprire: l’ingegnere bresciano Giovanni Ronchi; l’Ancella della Carità suor Durogilla Ramponi; i seminaristi Ermanno Malinverno e Giuseppe Rebecchi, ed altri. Il leit motiv che accomuna le ultime lettere dell’antologia è il ricordo dell’udienza con Giovanni XXIII, il 5 febbraio del 1959: per don Primo si tratta un momento di riconciliazione con la Chiesa.

«Ho parlato col Papa. È un vero padre, e la sua bontà mi ha acquietato il cuore. Ma quante prove anche qui! Le dirò», scrive all’amica bresciana Rachele Tosana il 5 febbraio del ’59. E al francescano Nazareno Fabbretti, nove giorni dopo: «Il Papa, col quale parlai per quasi una mezz’ora insieme ad altre sei persone, fu squisitissimo, particolarmente con me. [...]. Mi ha messo il cuore in pace e fatto dimenticare anche le ultime tribolazioni [...]». E in una lettera a don Astori il 25 febbraio del ’59 leggiamo: «Ho visto il Papa e ne sono venuto via consolato, dimenticando le birbonate prelatizie cremonesi, mantovane, milanesi. Egli è un punto provvidenziale».