Chiesa. Massaja e quell’islam da capire
Il cardinale Guglielmo Massaja (1809-1889)
Parlando nel 2004 ad Asti a un convegno su Guglielmo Massaja, lo studioso islamico di origini algerine Fouad Allam sottolineò l’incisività predittiva dei giudizi del missionario piemontese sull’aggressività del proselitismo che l’islam di matrice waabita (Massaja parlava di «politica espansiva della Mecca») aveva messo in campo in Africa e in India, sia con l’obiettivo di conquistare nuovi territori (anche attraverso il radicalismo mahdista), sia come risposta alle 'degenerazioni' della vera fede esportate dall’impero ottomano.
Sebbene infatti, le affermazioni del venerabile cardinale Massaja fossero figlie della concezione cattolica di metà Ottocento, erano anche il frutto di una così attenta conoscenza dell’Africa, degli africani e degli umani sentimenti da risultare nei fatti in gran parte obiettive e corrette nell’analisi e nelle previsioni. Massaja, cappuccino e missionario in Etiopia, vedeva in atto una vera e propria strategia di propaganda condotta attraverso i commercianti e le scuole islamiche, capace in poco tempo di «guadagnare in India la metà della popolazione» e, in prospettiva, di avere politicamente la meglio anche delle potenze europee.
Una propaganda abile, che alla luce di quanto accadeva in Sudan con gli animisti, in Egitto e in Etiopia con i copti, era accompagnata da violenze e dalla diffusione dello schiavismo. Così nel 1851 giunse a pubblicare in Francia un opuscolo con l’idea di sensibilizzare tanto Parigi quanto Londra sul pericolo «politico » che poteva venire da quella pervasiva azione messa in campo «dalla 'piccola' Arabia» a fronte di un Occidente a suo dire sempre più indebolito dal punto di vista morale, a causa della diffusione delle idee massoniche e dell’ateismo.
Iniziativa editoriale tesa soprattutto a smentire la vulgata 'occidentale' (forse condizionata dal progressivo decadimento ottomano) per la quale in quel momento l’islam era in forte declino. Difficile contestare l’attualità dell’analisi di quel missionario cappuccino ( Vicario Apostolico dell’Alta Etiopia), che pure sembra così lontano nello stile e nelle parole dalla mentalità di oggi. Difficile contestarla anche se risulta prima necessario depurarla da alcune durezze di giudizio nei confronti dell’islam, che in alcuni casi sembrano frutto di prevenzione e scarsa attitudine al dialogo fra religioni così come solo di recente lo intendiamo. In questo senso è certamente interessante l’iniziativa di Vittorio Croce (sacerdote, giornalista e teologo astigiano) di inserire un capitolo interamente dedicato al rapporto con l’islam nel suo studio su Gugliemo Massaja, offrendo al lettore un punto di vista del tutto nuovo.
Senza dimenticare che in quegli stessi territori, più o meno negli stessi anni (Massaja muore nel 1889) i mercanti di schiavi musulmani rapirono santa Bakhita, 'commerciandola' più volte, e un altro grande missionario e santo come Daniele Comboni imperniava buona parte della sua attività pastorale nella lotta allo schiavismo. Così si scopre che oltre alla critiche severe emergono qua e là in Massaja sinceri spunti di ammirazione per l’islam, lì dove esprime una fede assoluta per il Dio unico e per il suo primato, al punto che «il musulmano si scandalizza al minimo segno di ateismo». A questo proposito citava un impiegato sudanese educato in Inghilterra che gli aveva confidato di aver imparato dai cristiani molte cose, ma di aver anche «avuto da loro grandi scandali». Una questione che spingeva il vescovo e cardinale a criticare con forza la cultura occidentale considerandola «ultima» nell’ordine morale.
Era anche ammirato dallo zelo dei missionari arabi e lui stesso per primo si era accorto che l’islam non è tutto uguale e citava conoscenti musulmani che educavano i loro figli alla tolleranza. Ed era convinto che per queste persone il cristianesimo poteva diventare attraente se testimoniato secondo il primato dell’amore, con umiltà evangelica e senza violenza. Osservazione che avrebbe illuminato negli anni a seguire grandi testimoni in terra d’Africa come Charles de Foucauld, Annalena Tonelli, Cristina Luinetti, i monaci di Tibhirine e tanti altri.