Cinema. Masina, che spirito Giulietta
L'immagine della copertina del libro su Giulietta Masina
È quasi un’ “anti-biografia” quella scritta da Fulvio Fulvi, giornalista di Avvenire, che in Lo spirito di Giulietta. Masina storia di un’antidiva (Edizioni La Fronda. Pagine 90. Euro 12,00, in vendita su Amazon), traccia un profilo originale e a tratti domestico, molto intimo, della grande attrice e compagna di Federico Fellini. Non è il classico libro in cui si mette a confronto lo stereotipo della “musa” Giulietta, ispiratrice del “genio” Federico, ma piuttosto è una rilettura trasversale di questa grandissima attrice, e appunto antidiva del grande schermo. Qui la prefazione scritta dal critico cinematografico Goffredo Fofi
Le due sale cinematografiche del mio paese funzionavano a turno: una settimana l’una, quella “dei preti”, e una settimana l’altra, quella “dei comunisti”; ma l’unica distinzione era che nella prima c’era un prete che vedeva ogni film prima del pubblico e operava tagli aggiuntivi a quelli già operati a Roma da una censura molto bigotta. Il dilemma di un adolescente che divorava libri e film e, di conseguenza, le riviste accessibili grazie a un giornalaio amico di famiglia, ma qualcuna comprandola per le notizie e le foto, fu ben presto quello di ragionare su cosa veniva giudicato bello e su cosa veniva giudicato brutto e di formarsi un giudizio personale. Non era facile, e ricordo quanto fui sconcertato dai giudizi che lessi (1954, avevo 17 anni) su due film (due capolavori) sostenuti il primo, Senso di Luchino Visconti, dai comunisti, e il secondo, La strada di Federico Fellini, dai democristiani. Mi piacevano entrambi, ma vedendo Senso non mi ero affatto commosso sul personaggio di Alida Valli, una nobildonna che passa i fondi della rivolta politica risorgimentale al suo amante austriaco, un vigliacco, mentre avevo pianto sul destino della povera Gelsomina, un po’ ritardata (ne avevamo una in casa, colpita bambina dalla polio) e guitta di piazza al fianco del brutale Zampanò che è il suo uomo e maestro e padrone, ma incantata dal Matto. La strada parlava di qualcosa che conoscevo, mostrava un paesaggio che era anche il mio, tra l’Appennino e l’Adriatico – e dimostrava una grande comprensione pietà solidarietà nei confronti dei suoi personaggi, e Giulietta Masina ne era l’eroina, la vittima ingenua, un’eterna bambina sbalordita dell'esistenza, dal mondo.
E nonostante tutto entusiasta del mondo. Avevo molto amato, I vitelloni. Mi innamorai di Gelsomina e di Fellini, punti di riferimento anche morale, ma anche provocatori. Con il cinema di Fellini, con il “modello” Fellini, ho vissuto un “corpo a corpo” che si è placato tardi, con gli ultimi film, e con la conoscenza diretta di un Federico ormai anziano e triste, e presto malato come malata era la compagna della sua vita. Conobbi Fellini quando Cico e Pallina erano invecchiati, anche se mai del tutto domati. Sono stato due o tre volte a casa loro in via Margutta, ma non ho mai incrociato Giulietta, che era già assai malata, e tutti pensavano che sarebbe stata lei a morire per prima. Chiedevo notizie e le risposte erano sconsolate. Ma avvertivo, ed era impossibile che così non fosse, un legame di coppia saldissimo, una comunione radicata e infrangibile. Della Masina si apprezzavano, intorno, la compostezza e la misura di una moglie co
mprensiva e fedele nonostante tutto, e il Federico che ho frequentato non era più lo spavaldo Federico degli anni d’oro... Il personaggio affidato a Giulietta, creato da Fellini e con Giulietta, restò infine anche nei film di altri registi, quello di Gelsomina e di Cabiria, con l’unica variante “borghese” del film che su di lei Fellini costruì per parlare infine di donne non “maggiorate” (da vignette del “Marc’Aurelio”) ma vere e del tempo. E con le loro diversità, le loro rivendicazioni, la loro autonomia. E la vera Giulietta aveva molto della Giulietta degli spiriti, ma non credo che Fellini se ne sarebbe a suo tempo innamorato e le fosse stato a sua modo fedele se non avesse ritrovato in lei altre Giuliette: il suo ideale giovanile di moglie e di compagna; e l’immagine di Gelsomina e poi di Cabiria, che di Gelsomina è una variante. Con qualcosa di Charlot, certamente, ma anche con qualcosa dei clown dei poveri circhi di un tempo, con qualcosa delle suorine ingenue e francescane anche senza saperlo, con qualcosa dei marginali della strada e della piazza (di una “Leggera” assai faticata), della marginalità dei poveri e degli sfigati, dei periferici e dei dimenticati. Degli “umiliati e offesi”, avrebbe detto Dostoevskij. Dei “poveri e semplici”, avrebbe detto Anna Maria Ortese. E anche con qualcosa della Iduzza di La storia di Elsa Morante. “Beati i poveri di spirito” avevano detto – all’origine delle visioni di questi grandi – il Nazareno e l’Umbro...
Di tutto questo Giulietta Masina era cosciente e partecipe, e fu anche per questo che accettò il magistero del consorte, di farsi cinematograficamente sua creatura, sin dal tempo di Senza pietà e, più tardi, di Europa ‘51. E se nel Miracolo di Rossellini scritto con Fellini e da Fellini co-interpretato, nel personaggio della povera di spirito resa dalla grande Magnani troviamo una sorta di modello (di sorella maggiore) della Masina, mi sembra assolutamente vero ciò che dice Fulvi nel suo racconto/saggio così profondo partecipe affettuoso, commosso e commovente del confronto reale tra le due, con l’assunzione da parte di Giulietta Masina di un lascito rosselliniano di quella Magnani che Fellini e Rossellini andarono definendo secondo ispirazioni senz’altro comuni sin dai primi film del neorealismo, così diversi e così lontani e così più profondi dei coevi personaggi zavattinian-desichiani.