L'atleta tedesco. Markus Rehm, volto delle Paralimpiadi: «Non esiste il non posso»
Markus Rehm, oro a Londra 2012, Rio 2016 e Tokyo 2020
Il lunghista che sognava di imitare Carl Lewis è a un salto dall’impresa. Gli basterà conquistare il titolo stasera a St. Denis per mettersi al collo il quarto oro consecutivo. Se ciò accadesse Markus Rehm starebbe alle Paralimpiadi come King Carl alle Olimpiadi. Londra, Rio e Tokyo sono capitoli già scritti e stampati. Parigi è l’epilogo della saga, da compilare a partire dalle 20.30 dentro lo Stade de France. « Il mio obiettivo è conquistare la medaglia d’oro. Ne ho vinte quattro, tre nel salto in lungo, una nella staffetta, quindi spero di poter difendere il mio titolo ». La ricetta è semplice: spiccare il volo e atterrare il più lontano possibile nella sabbia. « La battaglia sta diventando sempre più serrata, quindi sarà molto più difficile di prima. Ci sono due ragazzi dagli Stati Uniti che cercano di darmi la caccia e di ottenere questo oro, quindi sarà emozionante». Ma anche bello da vedere, poiché più aumenta la concorrenza più la gente non si annoia: « Penso che sia positivo per lo sport se la competizione sia più emozionante. Sono pronto per questo. Spero sia una finale divertente da guardare dagli spalti e da casa». Il quarto trionfo di fila sarebbe la certificazione di una superiorità che sulla pedana con i tre agitos dura dal 2012: « Non è facile essere a questo livello per così tanti anni. È stato un bel viaggio, ma amo ancora quello che faccio, quindi sono pronto a continuare. Non voglio mettermi troppa pressione, ma sono pronto per la sfida e non vedo l’ora. Sono un po’ più emozionato di quanto non fossi agli ultimi Giochi». Chi meglio del trentaseienne tedesco può raccontare l’evoluzione della rassegna? « L’atteggiamento è cambiato molto. Ai tempi in cui ho iniziato a fare sport, c’era molta attenzione alla disabilità, poca sui risultati. Oggi i giovani atleti sono orgogliosi di ciò che sono, di come sono, di come appaiono, se indossano una protesi alla gamba o qualunque sia la loro disabilità. Penso sia una cosa grandiosa». All’età di 14 anni, nel 2002, mentre faceva wakeboard, Rehm fu vittima di un incidente, che gli costò l’amputazione della gamba destra. Gareggia quindi con una gamba d’acciaio: « Anni fa, le persone cercavano di nascondere le protesi, indossavano pantaloni lunghi e non le mostravano. Adesso è una specie di moda, e le persone hanno i colori più selvaggi. I Giochi ci hanno sicuramente aiutato a raggiungere questo stadio». Parola di chi per mestiere fa proprio il protesista: «Quando ho iniziato in questa attività, dovevo dare alle protesi dei clienti una rifinitura cosmetica, cosa che non è più comune. È cambiato tutto negli ultimi anni». Il suo record del mondo è di 8,72, misura che gli avrebbe consentito di acciuffare la medaglia d’oro anche ai Giochi olimpici. A Rio aveva tentato di gareggiare anche con i normodotati, ma invano. «Ovviamente ho seguito in tv entrambe le gare di salto in lungo olimpiche ed ero davvero emozionato, soprattutto nella competizione femminile dove ha vinto Tara Davis, la moglie del mio amico Hunter Woodhall, davanti alla mia connazionale Malaika Mihambo. Vedere le gare dei normodotati mi dà qualcosa a cui puntare nella preparazione per la mia gara. Se ci pensiamo sono gli stessi il gesto, la pista, l’asse di battuta, la buca di atterraggio ». Ai Giochi olimpici il greco Tentoglou ha vinto con 8,48, mentre l’anno passato ai Mondiali parigini Rehm atterrò a 8,49: « Mi pongo come obiettivo quello di andare oltre gli 8,48, quindi più lontano del campione a cinque cerchi, non tanto per batterlo, quanto per sensibilizzare il nostro sport, per mostrare alla gente che se vuoi vedere grandi atleti, se vuoi vedere grandi risultati e salti enormi, non solo devi andare alle Olimpiadi, ma puoi anche unirti a noi, ai Giochi paralimpici». Un messaggio fortissimo, proveniente da colui che è stato candidato al premio Laureus come sportivo con disabilità dell’anno nel 2018, 2019 e 2024, che è stato il portabandiera della Germania a Rio e che durante l’ouverture parigina ha avuto l’onore, come Bebe Vio e Oksana Masters (gli unici tre non francesi), di essere tedoforo in Place de la Concorde. Gareggiando tra i normodotati si è guadagnato il soprannome di Blade Jumper diventando un oratore motivazionale. « Il mio primo contatto con l’atletica fu nel 2008. Ero a una fiera quando il velocista paralimpico tedesco Heinrich Popow mi vide saltare su un trampolino, invitandomi ad andare al campo». Un dirigente del club TSV Bayer 04 Leverkusen, la città dove risiede, mentre è nato a Göppingen, gli regalò la sua prima lama da corsa. « All’epoca stavo imparando a fare il protesista, quindi sapevo quanto fossero costose le lame e mi rifiutai di accettarla, ma lui insistette. Disse che era un investimento per il futuro. Non lo dimenticherò mai. Fu il momento che mi cambiò la vita». Ama ripetere che « non esiste il non posso», quindi non nasconde che l’ambizione nascosta è atterrare oltre i 9 metri, tanto da far diventare “9,00 m” lo screensaver del suo smartphone. Un pensiero stupendo. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Punto al primato assoluto per mostrare a tutti che per vedere grandi risultati devi venire anche alle Paralimpiadi»