Mostra. Mario Bellini alla Triennale, sessant'anni di bellezza italiana
"Italian beauty" alla Triennale di Milano (© Gianluca Di Ioia)
«Retrospettiva? Anche no. Preferisco chiamarla “prospettiva” a significare che sto ancora guardando il futuro». Così Mario Bellini, con la forza e la serenità dei suoi 81 anni, ha inaugurato in Triennale Italian beauty (fino al 19 marzo, a cura di Deyan Sudjic, direttore del Design Museum di Londra), la prima mostra che gli viene dedicata a Milano, la sua città, a trent’anni esatti dall’esposizione al MoMa di New York sulle sue prime creazioni che avevano già segnato la storia del design italiano (25 le sue opere presenti nella collezione permanente del celebre museo americano). In mezzo ci sono progetti e presentazioni in tutto il mondo per l’otto volte “Compasso d’oro”.
Nella «prospettiva» della Triennale (catalogo Silvana Editoriale) il designer e architetto mette in scena, è proprio il caso di dirlo considerato l’allestimento che la guida, sessant’anni di «idee visibili», passando dalla piccola alla grande scala. Ci sono i suoi pezzi, diventati icone dell’«Italian beaty» nel mondo: basti pensare alle innovative macchine Olivetti (compresa la P101 che possiamo considerare il primo Pc) con cui conquistò l’interesse di Steve Jobs, le sedie (come la mitica “Cab”) di Cassina, il primo mangiadisci portatile “Pop” di Minerva, il televisore Brionvega, oggetti di Alessi. Ci sono gli allestimenti: come quello della mostra su Giotto a Palazzo Reale a Milano dello scorso anno. E poi i grandi progetti con cui ha costruito tanti “mondi” nel mondo, dal Mico della Fiera di Milano, per non andare lontano, al Dipartimento delle Arti islamiche del Louvre a Parigi, ma anche il Tokyo Design Center, il Natuzzi Americas nel North Carolina, la National Gallery of Victoria a Melbourne.
I pezzi di design si possono ovviamente toccare con mano e subito colpiscono il visitatore nella grande “biblioteca” che lo accoglie, come un manifesto, nel corridoio d’ingresso della Triennale o nelle gallerie che compongono la mostra. Un percorso nel genio di Bellini. E nella sua filosofia: «L’ufficio è un ambiente più vicino alla casa che alla catena di montaggio», per questo deve essere funzionale, bello e comodo.
Ma l’architettura? Mettere in mostra l’architettura pone sempre agli architetti il problema: come esporre un palazzo? Ed ecco, certo, schizzi, foto, progetti, plastici. Mario Bellini, tuttavia, fa di più. Propone una bellissima esperienza sensoriale: nelle cinque stanze che si aprono lungo le gallerie sono allestiti dei maxischermi cinematografici su cui «(tras)portare virtualmente i visitatori attorno e dentro i miei edifici sparsi in tutto il mondo, ovvero là dove si trovano, Parigi, Francoforte, High Point, Tokyo, Melbourne, con riprese girate sul posto, dove poter sentire i rumori che li circondano, il contesto. Luoghi vivi, non solo disegni e modelli».
Un percorso nella bellezza. Ma non solo. «La ricerca della bellezza deve essere inarrestabile – dice Bellini –. Ma non può e non deve essere solo il traguardo dell’architetto. Che dovrebbe sempre avvertire la necessità di dialogo: con l’uomo, con la città, tra le culture, le religioni…. Ogni nuovo progetto è come un viaggio, un’esplorazione alla ricerca di un significato, di un’emozione e della bellezza». Una retrospettiva dunque che si fa davvero prospettiva di un futuro ancora da scrivere. D’altra parte il suo motto è: «Mai smettere di sognare».