Opera. Intervista a Marianne Crebassa, la voce emergente della lirica. En travesti
Il mezzosoprano francese Marianne Crebassa
Se non avesse disobbedito al suo insegnante di canto, presentandosi di nascosto a un’audizione forse oggi Marianne Crebassa non sarebbe in scena al Teatro alla Scala nei panni di Cherubino nelle mozartiane Nozze di Figaro e nemmeno nei negozi con il suo primo disco Oh, boy!, pubblicato da Erato. «Avevo 21 anni e a Montpellier cercavano una cantante per il Manfred di Robert Schumann. Mi presentai di nascosto dal mio insegnante, in jeans e maglietta senza nemmeno prepararmi. Cantai la partitura che mi misero davanti e fui presa» ricorda il mezzosoprano francese, classe 1986 e un’agenda già piena per i prossimi cinque anni. «E pensare – sorride – che sino ad allora in pubblico avevo cantato solo con la mia band del liceo, i 7h58».
Una band, Marianne Crebassa, intesa come rock band?
«Esatto. Con alcuni compagni di liceo facevamo cover rock, pop e jazz. Suonavamo nei piano bar, nelle discoteche, ma anche a matrimoni e a feste: ci chiamavamo 7h58 perché un giorno dovevamo iscriverci a un concorso e non avevamo un nome, un mio compagno guardò l’orologio e segnava le 7 e 58, qualche minuto prima che suonasse la campanella a scuola. Un’anima rock che conservo ancora oggi, indossando il chiodo anche quando vengo in teatro».
Dove canta Mozart. Quando è avvenuto il salto dal rock alla classica?
«In realtà nella mia vita è arrivato prima Mozart. Quando avevo sei anni ho iniziato a suonare il pianoforte ad Agde, la città dove sono nata. I miei hanno voluto per me una formazione musicale nonostante nessuno in casa suonasse uno strumento. In realtà il nonno materno, emigrato in Francia dalla Spagna, era tenore, cantava a livello amatoriale e faceva concorsi che, mi hanno raccontato, vinceva. Suonavo il piano, ma la mia passione era il canto: cantavo sempre, in ogni momento della giornata, era una cosa che mi veniva naturale. Allora ho chiesto ai miei di poter studiare anche canto oltre a pianoforte: non conoscevo l’opera lirica, l’ho avvicinata seguendo i corsi e, attraverso la conoscenza della tecnica, ho scoperto la bellezza e la profondità della musica classica. Rimasi affascinata».
E decise di fare l’audizione a Montpellier.
«Mi presentai con un’amica. C’erano decine di cantanti venute da tutta la Francia. Terminato di cantare il solito “Le faremo sapere”. Dopo un mese ho scoperto per caso che ero stata presa, perché tutti in Conservatorio mi facevano i complimenti. Tranne il mio maestro di canto che si arrabbiò molto, ma poi mi sostenne. Avevo 21 anni e fu il mio primo concerto: rimasi affascinata da questo mondo, le prove, il suono dell’orchestra intorno a me, la possibilità di raccontare sentimenti universali attraverso la musica. All’inizio piccoli ruoli: due frasi in una Fedra di Pizzetti sempre a Montpellier, ma li decisi definitivamente che avrei fatto la cantante d’opera. Non ho smesso, però, di studiare. Ho abbandonato il pianoforte e insieme al canto ho studiato musicologia all’università perfezionandomi poi all’OperaStudio dell’Opèra de Paris».
In pochi anni una carriera che la sta portando nei più importanti teatri. E ora il suo primo disco. Tutti ruoli maschili per mezzosoprano.
«Ho scelto di incidere i ruoli che ho cantato nei miei primi anni di carriera, ruoli nei quali per tessitura e colori mi trovo a mio agio. E ho affiancato pagine note ad altre meno conosciute di questo repertorio, anche per cercare di avvicinare il pubblico ad autori meno frequentati come Chabrier e Hahn. Una grande tradizione, quella di ruoli maschili per voci femminili, che parte dal barocco, passa da Mozart e arriva a Rossini, Gounod e Offenbach. Una tradizione che mie illustri colleghe hanno affrontato in passato e che ora voglio affrontare portando il mio contributo».
È difficile per una ragazza vestire panni maschili in scena?
«Personalmente mi trovo bene in questi ruoli perché mi permettono di concentrarmi totalmente sul personaggio e sul suo aspetto musicale non dovendo badare a quella componente “estetica” di femminilità da esaltare e far ammirare che oggi il mondo della lirica chiede alle donne. L’ideale per un cantante ancora in formazione, come mi ritengo io».
Vuol dire che non ha ancora smesso di studiare?
«Non si smette mai. La voce è uno strumento da tenere allenato, va ascoltata e assecondata nella sua naturale evoluzione. Per ora non penso ad altri repertori: mi hanno già chiesto di essere Octavian nel Rosenkavalier e il Komponist dell’Ariadne auf Naxos di Strauss. Sogno, e studio già, la Rosina del Barbiere di Siviglia e Angelina della Cenerentola di Rossini. Carmen, però, per ora può attendere. Perché occorre debuttare certi ruoli quando la voce è pronta, senza fretta».
Un’agenda pienissima. Ma quando non canta cosa fa?
«La musica, è vero, prende gran parte della mia vita. Ma appena posso raggiungo la mia famiglia, agricoltori da generazioni, nella campagna del sud della Francia dove mi piace fare lunghe camminate nella natura».
La sua terra, la Francia, negli ultimi mesi è stata colpita al cuore dal terrorismo. Come ha vissuto e come vive questa situazione?
«La minaccia è presente quotidianamente nel pensiero e nella quotidianità di tutti, non solo di noi francesi. Penso che questo sia il vero banco di prova per la mia generazione. Siamo cresciuti con lo spettro della disoccupazione, è vero, ma tutto sommato siamo sempre stati abbastanza protetti. Oggi quello del terrorismo è il vero grande nodo che dobbiamo affrontare interrogandoci e rimettendo al centro i veri valori della vita. Tutti, poi, dobbiamo sforzarci di continuare a vivere senza farci intimidire, ritrovandoci insieme e facendo cose che ci facciano sentire uniti. In questo l’arte, e la musica in particolare, possono giocare un ruolo fondamentale».