In coro, cantilenando, come fossero sulla scena di un teatro antico, mimi che interpretano la musica per trovare nell’anima tesori nascosti, gli allievi di María Fux rispondono al saluto della loro incantatrice, che ancora oggi novantatreenne, muovendosi con una grazia e una gentilezza senza pari, inizia la sua lezione. Nella quale la danza illumina frammenti di vita non sempre facile. Al secondo piano dell’Avenida Callao, fuori la frenesia di una megalopoli come Buenos Aires – dove lei è nata da genitori di origine ebraica russa il 2 gennaio 1922 –, incontra ogni tipo di umanità e, assecondandone le attese più inconsce, aiuta tutti a trovare armonia e quiete, a superare il dolore, i dolori. Lo fa con ragazzini esuberanti e dolcissimi, portatori di handicap, con chi ha avuto il corpo menomato da malattie, con chi fin dalla nascita non sente oppure non vede, che dunque non sa cos’è la musica, oppure non ha empatia di gruppo nel creare il movimento. Eppure tutti danzano con María – molti la conoscono anche in Italia e hanno seguito i suoi seminari, a Milano è attivo un corso di Formazione Triennale in Danza Terapia “Risvegli – Maria Fux” –, sorridono con lei, non si perdono nemmeno un’impercettibile parola che crea metafore suggestive all’unisono con i ritmi scelti accuratamente, o un gesto in cui delicatamente rigira tra le mani una stoffa o un pezzo di carta, mentre le braccia si alzano e sinuose sembrano abbracciare tutti.
Dancing with María del goriziano Ivan Gergolet è una esperienza dei sensi e dello spirito, prima che essere un film documentario sulla vita quotidiana della danzatrice che vive e lavora con immutato entusiasmo “alla fine del mondo”, un corpo fragile ma uno spirito immenso. Presentato con successo dalla Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia, esce finalmente in sala il 26 febbraio.La macchina da presa segue e accompagna con rispetto e discrezione l’anziana artista, è quasi un mistero come si possa muovere con tale leggerezza sebbene l’età assai avanzata. Forse perché le ragioni della sua danza sono quelle della vita. «Si, la vita – conferma María ad
Avvenire – e il desiderio di poter dare. Il desiderio di esprimere chi sono, sia in scena che nell’incontro con i miei allievi dove si produce un altro tipo di contatto. Sono felice di aver avuto quel desiderio di fare. Il desiderio di muovermi è sempre stato la cosa più importante che ho sentito, chissà, fin dal ventre di mia madre, incontrando la musica, il silenzio, il colore, la comunicazione con me stessa e con gli altri». Gli “altri” la ascoltano e la osservano. Si intuiscono le ragioni dell’entusiasmo e della devozione delle molte ragazze e alcuni ragazzi che danzano con lei, di cui non vuole mai conoscere né i nomi né la provenienza, pur riuscendo sempre ad intercettarne lo spirito e le ragioni per le quali il cuore o la curiosità li ha portati lì da lei. È capitato anche alla voce narrante del film, la triestina Martina Serban, che è la moglie del regista. «María resta al di la di ciò che l’udito può sentire, di ciò che viene detto – precisa –, perché ci sono danze di emozioni e sensazioni, di amore che ogni volta si rinnova. Amore che María ha per la danza, per la musica, per ciò che sta dando, per chi ha di fronte. Si fa esperienza di come il limite può essere lo stimolo per creare e per incontrare se stessi e l’altro, in un gioco di continue trasformazioni». María José Vexenat, sua discepola fin da bambina, è destinata ad assumerne l’eredità. «Ho sempre ritenuto che, per portare a termine questa missione artistica – confida –, è necessario sostenere una rete, il che significa che l’eredità di María è in ciascuna delle persone che possano trasmettere il metodo in modo responsabile, etico, emotivo. Le sue lezioni sono uniche e speciali, perché senti “qualcosa dentro di te” che non puoi descrivere, ma solo vivere. Per questo è necessario aggiornare il lavoro e continuare con quello che María ha seminato in ciascuno di noi. Sento che l’amore per lei è legato a questo impegno che portiamo con gioia, di dare e danzare. Poiché danzare è anche dare amore». Forse è questo il “segreto” di María. «Per capirlo è necessario danzare. La Danza Terapia nasce dalla vita stessa e c’è molto della nostra vita che vale la pena danzare per saperne di più su noi stessi». Le ultime immagini del film sono di forte impatto emotivo. La danza si sposta dalla scuola alla strada sottostante. «Perché la danza è del mondo – conclude , non ci sono confini o frontiere, siamo tutti veramente collegati. Il movimento è sempre stato il modo più adatto di tradurre, superando tutte le frontiere, ciò che le parole non sanno esprimere».