Più di uno spot, meglio di uno spot. Gli esperti del marketing lo chiamano
product placement (che letteralmente significa "posizionamento del prodotto"). Bisognerà familiarizzare con la parolona visto che da qualche giorno il
product placement è stato autorizzato da una legge – il Senato ha approvato mercoledì una direttiva comunitaria in questa direzione – e potrà entrare nelle trasmissioni televisive, soprattutto le fiction. Significa per esempio che programmi come i
Cesaroni e
Don Matteo, il
Commissario Montalbano o i
Ris potranno essere invasi da un’infinità di prodotti, ciascuno con il proprio marchio. Le aziende pagheranno questa presenza come pubblicità e gli incassi – sempre interessanti per i produttori dei programmi – serviranno a finanziare nuove fiction. Nel cinema succede già: qui i grandi marchi sgomitano pur di piazzare in pellicole di successo occhiali, automobili, elettrodomestici, bibite, scarpe o telefonini. Ma, televisivamente parlando, si tratta di una novità. Molto interessante per chi realizza serie tv, tanto più in tempi di crisi, ma soprattutto per le aziende che ottengono così nuovi spazi pubblicitari alternativi: una visibilità presso i telespettatori più efficace rispetto allo spot tradizionale che molte volte viene abilmente evitato con il telecomando. Al marchio del cellulare in mano al commissario tanto simpatico, al modello dell’auto che porta i carabinieri sulla scena del crimine, all’etichetta della birra che si scola il nostro attore preferito non si scappa. Quegli oggetti fanno ambiente e il loro marchio entrerà sempre di più nella nostra testa e nella nostra vita. Sarà sempre più difficile difendersi dalla loro invadenza. E finirà che con quel telefonino o quella birra, quelle scarpe o quella motoretta ciascuno si sentirà un po’ più vip.
Un eccesso americano. Addio pubblicità occulta. In tv non servirà più camuffarla, far finta che un marchietto, una certa bibita o un capo d’abbigliamento firmato siano dentro una scena per puro caso. Semplicemente perché la pratica diventata legale come spiega l’avvocato Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo, una delle più importanti e consolidate associazioni dei consumatori: «Approvare la direttiva europea è stato un modo per legalizzare un sistema commerciale proibito per la tv ma fino a oggi anche piuttosto praticato, in modo ingannevole. E spesso punito. L’Italia poteva anche non aderire alla direttiva comunitaria o stabilire regole più strette ma non è stato così – continua l’avvocato – il problema è che quando le regole si allentano è più facile che succeda di tutto. Staremo a vedere». Di una cosa ad Altroconsumo sono davvero preoccupati: l’utilizzo troppo disinvolto del product placement nel settore alimentare. È assodata la responsabilità della pubblicità nell’emergenza obesità anche nel nostro Paese così come è dimostrato che i prodotti meno salutari sono anche quelli più pubblicizzati. «Il dilagare di bibite, dolci, merendine e snack nelle fiction – spiega Paolo Martinello – può diventare un elemento di squilibrio in più. Non possiamo prevedere cosa succederà ma è un fatto che di pubblicità in tv ce n’è già tanta e di un’aggiunta se ne poteva fare a meno. E vero, l’Europa non è l’America ma l’esempio americano dove i prodotti si sono intrufolati anche nei tg e confusi in mezzo alle notizie non aiuta a stare tranquilli».
Bersaglio bambini. La decisione di inserire i prodotti con i loro marchi ben visibili nelle fiction non convince Paolo Landi, nientemeno che direttore della pubblicità di Benetton. «Non mi pare una grande idea – dice – la pubblicità in tv bisognerebbe sfoltirla invece che aumentarla, se si vuole che torni ad essere efficace. Quando la pubblicità è troppa non comunica più nulla, è una marmellata che non si ricorda». E poi, non sarebbe più giusto non mischiare i due spazi? «È sicuramente meglio che programmi e pubblicità siano distinte – continua il pubblicitario – si deve poter essere liberi di fare zapping se la pubblicità non ci interessa».
La pubblicità non è cosa da bambini sostiene Landi nel suo ultimo libro – pubblicato dall’editore La Scuola – che ha proprio questo titolo. Ma in che senso? «C’è la mania di trattare i bambini come fossero piccoli adulti. Crediamo che un bambino di prima elementare debba essere informato, tecnologizzato, che debba conoscere il valore del denaro. Tutte cose che non dovrebbero interessarlo. Non si può tenere lontano i bambini dalla pubblicità, è impossibile, però si può tenere la pubblicità lontano dai bambini, senza parlarne obbligatoriamente a scuola e a casa. Gli addetti ai lavori dovrebbero pianificare la pubblicità di prodotti da bambini su riviste e programmi rivolti ai genitori. Un tempo erano loro a comprare per i figli piccoli. Oggi i bambini di quattro anni invece di chiedere un panino chiedono un Big Mac».
L’abbuffata del cinema. C’è chi sostiene che il primo esempio di
product placement nel cinema risalga al 1951. In una scena di un filmone intitolato La regina d’Africa due grandi attori del tempo, Humphrey Bogart e Katherine Hepburn, comparivano in compagnia di una bottiglia di gin dall’etichetta ben visibile. Ma la pubblicità occulta sarebbe ben più vecchia: nell’archivio del fratelli Lumière, inventori del proiettore, sarebbe spuntato un filmato che riproduce una scena cittadina, con un carretto in primo piano che fa pubblicità a un sapone. Gli esempi che riguardano il cinema soprattutto americano sarebbero sterminati: la serie di James Bond è stata un concentrato di marchi messi in primo piano e anche il mitico E.T. non ne è stato esente: era il 1982 quando il piccolo Elliot, il bambino protagonista del film, seminava nel bosco certe caramelline diffusissime in America pur di accalappiare il timido extraterrestre. Che dire, per rimanere a oggi, di film come
Il Diavolo veste Prada dove i marchi della moda, tra abiti, scarpe, borse e pellicce, si sprecano?