Pattinaggio. Valentina Marchei, l'eterna principessa sul ghiaccio
Valentina Marchei
«I pattini mi fanno sentire una principessa. Ma ho dovuto toccare il fondo per ritornare a volteggiare come una farfalla». È la favola di Valentina Marchei, che a trent’anni sta scrivendo una nuova storia sul ghiaccio. Per vent’anni protagonista nelle competizioni singole, dal 2014 fa coppia sportiva con il ceco naturalizzato italiano Ondrej Hotárek con il quale difenderà i colori azzurri ai Mondiali di Helsinki in Finlandia dal 29 marzo al 2 aprile. Un salto non da poco per la pattinatrice milanese che aveva sempre sfidato il mondo da sola. Cinque volte campionessa italiana, quarto posto agli Europei del 2013, anni e anni di allenamento anche Oltreoceano inseguendo un sogno cullato sin da bambina. Poi le delusioni, le prove della vita e il ritorno in pista ma questa volta in coppia. Una girandola d’emozioni per un’atleta che ha lo sport nel sangue: suo padre, Marco Marchei, ha rappresentato l’Italia nella maratona sia alle Olimpiadi di Mosca (1980) che a quelle di Los Angeles (1984).
C’era una volta una promessa... della ginnastica! Il suo approdo al pattinaggio è stato quasi un caso...
«Sì, davvero una storia assurda. Avevo sette anni e facevo ginnastica ritmica con Giulia Staccioli che mio padre aveva conosciuto ai Giochi olimpici. Lei però fu chiamata da una compagnia importante e a metà anno andò via. Siccome avevamo già pagato il corso ci dissero di continuare con uno sport che volevamo. Il Forum di Assago offriva allora pattinaggio su ghiaccio o nuoto, ma avendo sempre avuto paura dell’acqua scelsi il primo. E fu subito amore».
Poi all’apice di una carriera nel singolo la folgorazione per le competizioni di coppia.
«Merito del mio compagno di gare Ondrej. Abbiamo cominciato per gioco ma vedevamo che in pista ci veniva tutto naturalmente. Ci siamo buttati e dopo pochi mesi subito un quarto posto agli Europei del 2014. Pur avendo già 28 anni ho creduto in questa nuova disciplina perché mi diverto. Mi chiedono ancora di esibirmi da sola ma mi trovo talmente bene con lui che quando pattino da sola mi sembra manchi un pezzo».
Quali sono le difficoltà maggiori quando si gareggia a due?
«Non è facile perché molte volte ci rimettono i rapporti personali, dal momento che ti relazioni con un uomo a giornate intere. Ma lui è sposato con la mia storica compagna di stanza in Nazionale, Anna Cappellini. Ci conosciamo da quando eravamo piccole, ci lega un’amicizia e una stima profonda. Io e Ondrej abbiamo instaurato un rapporto di grande rispetto professionale e umano. Poi certo bisogna conoscersi bene sul ghiaccio, perché questo sport è pericoloso, soprattutto in coppia bisogna essere molto lucidi entrambi: basta un momento di stanchezza o di distrazione di uno dei due per cadere a terra da due metri e mezzo di altezza…».
Ripartite dal sesto posto degli ultimi Europei.
«Un buon risultato per essere una coppia che ha cominciato da poco. È già un grande onore riuscire a competere con medaglie olimpiche che gareggiano insieme da più di dieci anni. Ai Mondiali vogliamo arrivare il più in alto possibile per andare ai Giochi di Pyeongchang l’anno prossimo».
Qual è la giornata tipo di una pattinatrice?
«Almeno tre ore di allenamento sul ghiaccio, due di coppia e una di singolo. Due ore a terra, palestra e a giorni alterni alterna danza classica e ginnastica artistica ritmica per l’elasticità. Tre volte a settimana al mattino presto un’ora di postura in coppia per sincronizzarci. Poi certo le cadute fanno parte del gioco, se hai paura di cadere non fai questo sport».
A maggio compirà 31 anni: sta già pensando al futuro?
«Vorrei un giorno avere il tempo di costruire una famiglia. Ma sono ancora tanto innamorata di questo sport. Anche se riconosco che il pattinaggio è totalizzante, con allenamenti quasi maniacali… È difficile avere una vita normale fuori. Ma ormai questi sacrifici non mi pesano più. Dopo sei anni all’estero in cui mi mancava la mia famiglia, oggi mi alleno nel centro di Bergamo, una struttura come poche in Europa. E ho la fortuna di avere un fratello più piccolo che è il mio preparatore atletico».
Che cos’ha il pattinaggio più degli altri sport?
«Unisce forza, precisione e disciplina. Mi ha fatto crescere prima come donna e poi come atleta. Mi ha aiutato a uscire dagli schemi e farmi conoscere i miei limiti dandomi autostima e responsabilità. Non ho nessun rimpianto perché i miei successi più grandi sono sempre arrivati dopo che ho toccato il fondo. E i periodi brutti son quelli che mi hanno formato di più. Penso agli infortuni o alle grandi delusioni».
Quali, per esempio?
«Nel 2009 ho vinto il campionato italiano battendo Carolina Kostner ma non sono andata alle Olimpiadi perché avevamo un solo posto e lei poi ha vinto gli Europei. Però quel dispiacere mi ha aperto altre porte. La Rai mi ha chiamato per raccontare i Giochi in Tv, ho scoperto un nuovo ruolo che non pensavo di essere capace. Molti hanno esagerato sulla rivalità con Carolina. Siamo compagne di Nazionale e anche il quarto posto di squadra a Soci ci ha legato molto. Io l’ammiro perché si è rimessa in gioco a 29 anni e so cosa vuol dire quando tutti magari ti dicono che non ce la farai. E invece la passione vince sempre. Io però devo molto a mio padre».
Perché?
«Lui voleva che facessi sport, ma non me l’ha mai imposto. Ho perso due qualificazioni olimpiche, nel 2005 e nel 2009, ma lui mi ha insegnato che anche se “fallisci” provarci sempre è l’unica cosa che vale. Ecco perché Soci rimane l’esperienza più bella della mia vita, erano otto anni che inseguivo le Olimpiadi».
Fuori pista con la stessa passione ha sposato la missione di un “angelo” del nostro tempo, Paola Bonzi, fondatrice del Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli di Milano, che ha salvato circa ventimila bambini dall’aborto.
«Paola è una donna straordinaria. Sono cresciuto in una famiglia religiosa, dove ancora la domenica si va a messa tutti insieme, per me non è stato difficile sposare la sua causa. Ho deciso di darle una mano quando mi ha invitato a conoscere le mamme che aiuta e i loro bambini. Un’esperienza che mi ha segnato. Basta ascoltare le testimonianze di Paola per avere la certezza che la vita è un dono incredibile».