Teatro. Teresa Mannino, ironica e spietata cacciatrice di cliché
Teresa Mannino sul palco del Teatro Manzoni di Milano per lo spettacolo "Il giaguaro mi guarda sorto"
Capita raramente che chi ci fa ridere ci faccia anche pensare e viceversa. Come fa Teresa Mannino nel suo nuovo monologo, Il giaguaro mi guarda storto, in scena in questi giorni al teatro Manzoni di Milano, a mettere a segno entrambe le cose? Per di più coniugando un’irresistibile vis comica e una grazia attoriale sempre più elegante a una ferrea determinazione a dire la sua sul presente, sul passato recente, su quel po’ di futuro che ancora riusciamo a immaginarci. Tutto è cominciato dallo sguardo di un giaguaro prepotente – sì, uno di quegli animali umani che si scambiano per padroni della terra e si pongono come nostri supremi tutori – e dalla constatazione che, dal 23 febbraio 2020, quando l’Italia è andata in letargico lockdown, a rischiare l’estinzione non siamo stati noi bensì ciò che muove il mondo e le altre stelle, vale a dire il desiderio.
Saltellando da un ricordo d’infanzia alle minute esperienze quotidiane che costellano l’esistenza di ognuno di noi, dal disorientamento incredulo di madre con figlia preadolescente all’ansia di prestazione prodotta dalle tecnologie digitali, dallo sgomento di fronte all’arroganza sconsiderata del “maschio” bianco occidentale alla considerazione che forse faremmo meglio a studiare bene il comportamento di alberi e insetti, Mannino costruisce un’architettura narrativa complessa, fatta di vere e proprie “stanze” che immettono con geometrico rigore l’una nell’altra. Il pubblico, suo reale e amatissimo interlocutore, la segue passo passo e le risponde, alimentando ogni sera in modo diverso quel suo magnifico dialogo a scena aperta con i tanti che delle idee ricevute si stanno stancando, ma forse non ne sono ancora del tutto coscienti.
La comicità, per essere tale e non sguaiata riproposizione di luoghi comuni, deve fare da specchio a chi guarda. Lo deve implicare senza però giudicarlo, fargli la morale o ancor peggio lezione. E Teresa Mannino, che sembra saperlo come poche e pochi altri, mette innanzitutto alla berlina se stessa, si espone, espone letteralmente il suo fragilissimo corpo, la sua vita intima, i suoi sentimenti, la sua biografia e così noi ci sentiamo tutt’uno con lei, con le sue paure, i suoi interrogativi e possiamo, rassicurati e ignari, ridere di noi stessi. Riprendendo un pensiero di Roland Barthes, i grandi comici «mostrano al pubblico la propria cecità in modo tale che il pubblico vede insieme il cieco e il suo spettacolo; vedere qualcuno non vedere è il modo migliore per vedere intensamente ciò che egli non vede». Eppure Teresa Mannino, nel suo giaguaro dallo sguardo corrucciato, ci vede benissimo e quel che non vede si chiede perché non lo vede, chi glielo nasconde e perché. Se lo domanda con impudenza ostinata, travolgendoci in un vortice esilarante di ipotesi, tentativi, minuscole interpretazioni, coinvolgendo Annibale e Protagora, lo Squalo di Spielberg e i deliri di onnipotenza di Hitler, su su (o giù giù?) fino alle formiche tagliafoglie, grandi maestre di sopravvivenza e suo insetto guida.