Saggi. Basaglia e quelle storie da manicomio criminale
Particolare della copertina del volume "Intravisti" di Jacopo Santambrogio
Fausto racconta di essere stato in coma farmacologico, per essere curato. «Sembra faccia ridere, ma mi sono addormentato che ero 68 chili e mi sono svegliato che ero 106». In una delle sue poesie scrive: «Ora, dopo cinque passi, lascio lo stupore e i trofei al Dio che mi ha creato e non mi ha colto». È uno dei 18 pazienti intervistati dallo psichiatra Jacopo Santambrogio negli Ospedali psichiatrici giudiziari, i cosiddetti "manicomi criminali" aboliti dal 31 marzo 2015 (ma l’ultimo ha chiuso definitivamente i battenti tre anni fa). Strutture avversate da Franco Basaglia, di cui oggi ricorre il 40° della morte, promotore della legge 180 per una presa in carico dei pazienti psichiatrici autori di reato da parte di personale sanitario specializzato, non dalla polizia penitenziaria.
Dei volti di chi ha vissuto la realtà drammatica degli Opg racconta Santambrogio nel volume Gli intravisti, edito da Mimesis (pp. 294, euro 20), mix fra saggio e reportage con le prefazioni di Eugenio Borgna e Massimo Clerici, impreziosito dagli scatti della fotogiornalista Caterina Clerici e dedicato «a chi soffre di una malattia mentale, perché c’è sempre una speranza».
Non è scontato né retorico evocare la speranza «non di una guarigione, spesso non possibile, ma di qualche miglioramento e in alcuni casi di un’autonomia ritrovata», fa notare l’autore, dando voce a persone emarginate a cui viene restituito il nome proprio che potrebbe essere quello di chiunque: Matteo, Luigi, Virginio, Francesco e altri accettano di esporsi, senza mediazioni narrative.
A emergere non sono «elementi scandalistici» legati ai reati commessi, ma «storie di drammi personali e familiari, di episodi che avevano alterato equilibri sociali fino a gesti estremi e violenti quali l’omicidio». Ed è anzitutto il titolo a squarciare il velo sugli "scarti" nascosti allo sguardo altrui perché problematici, imprevedibili. «Il mandato custodialistico, ovvero di separazione e allontanamento dei soggetti pericolosi dalla società, è sempre presente nei luoghi psichiatrici e, per questo, queste persone rimangono ai più misteriose», puntualizza l’autore.
Questione che non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma l’approccio generale al diverso, quella «logica dell’esclusione» che persiste anche nei confronti di persone autistiche e disabili intellettive gravi, con cui Santambrogio lavora al Presidio Corberi di Limbiate, mentre si occupa di riabilitazione psichiatrica alla Fondazione Adele Bonolis onlus di Vedano al Lambro (Monza e Brianza). Nel gennaio 2012, ancora studente, decise di fare un viaggio sulle orme di Franco Basaglia a partire da Trieste, visitando poi gli Opg che avrebbero chiuso i battenti. Gradualmente ha preso forma «un saggio che, a partire da quelle vite, offre riflessioni sul disturbo, il disagio e l’inserimento di pazienti complessi nelle nuove strutture di cura», le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems).
Inoltre dalle testimonianze emerge che nel baratro della malattia mentale si finisce molto spesso per l’uso di sostanze stupefacenti, e purtroppo i danni cerebrali sono irreversibili. Il binomio droghe-psicopatologia, quindi, «è tutt’altro che raro», ribadisce lo psichiatra, consapevole che i farmaci potranno soltanto lenire i disturbi «e stabilizzare l’impulsività, ma non portare alla guarigione. Però l’obiettivo è la guarigione sociale». In cui non entrano in gioco solo le famiglie dei pazienti, ma l’intera comunità.