Musica. Manfred Honeck: «La politica europea impari dai giovani musicisti»
Il direttore d'orchestra austriaco Manfred Honeck
Le barriere, i muri di confine che certa Europa sarebbe tentata di tornare a costruire per tenere fuori dalla porta i migranti che chiedono di entrare «qui non esistono». Non esistono tra i leggii della European Union Youth Orchestra «dalla quale i politici dovrebbero prendere esempio», suggerisce Manfred Honeck.
Il direttore d’orchestra austriaco, classe 1958, a lungo violinista dei Wiener Philarmoniker prima di decidere di salire sul podio, in questi giorni è in tournée con i ragazzi della formazione musicale fondata nel 1974 da Claudio Abbado: «Sono stato suo assistente proprio con la Euyo dove siedono fianco a fianco ragazzi dai 14 ai 23 anni, provenienti da 28 Paesi europei».
Lunedì tappa a Bolzano – dove la Euyo suonerà anche l’11 agosto con Gianadrea Noseda – nell’ambito del Bolzano festival Bozen con un programma dedicato (quasi) tutto al melodramma: Mozart e Richard Strauss, Rossini e Verdi. «Ma anche I pini di Roma di Ottorino Respighi. Una pagina molto teatrale – spiega Honeck –, un racconto per immagini, fotografie musicali di angoli della Capitale come quella dei Pini di Villa Borghese con le voci dei bambini che giocano o quella dei Pini presso una catacomba dove si sente l’eco delle voci dei cristiani che proclamavano il loro Credo in unum Deum, pagina che potrebbe stare benissimo all’interno di un melodramma. E come quella che nel finale fa vedere in musica la marcia che chiude I pini della via Appia ». Autori, Respighi, Mozart e Verdi, di un’Europa “unita dalla cultura”».
Un messaggio che rivolge ai politici del Vecchio continente, in un tempo in cui la paura dell’altro spinge alcuni Paesi a chiudersi dentro i propri confini?
«La politica dovrebbe imparare dalla nostra orchestra. La cultura, che raramente trova spazio sulle prime pagine dei giornali, ha la capacità di mettere insieme le persone e di farle dialogare capendosi. Lo si è detto spesso, ma suonando con i ragazzi della Euyo torno a toccare con mano il fatto che la musica è davvero un linguaggio universale, capace di andare oltre i confini geografici e territoriali e di far dialogare persone di tutto il mondo. Suonare in un’orchestra significa a volte saper fare un passo indietro: il secondo violino è importante, ma per farlo suonare il primo violino deve farsi un po’ da parte, altrimenti l’altro non si sentirebbe. Questo è quello che dovrebbe fare la politica, specie in Europa, saper fare un passo indietro, saper mettere da parte interessi personali per guardare ad un bene più ampio. Ce lo insegna la musica».
Che, dunque, può avere un ruolo politico?
«Può aiutare a capire i tempi che stiamo vivendo. E a non ripetere gli errori del passato. Giovedì nel Duomo di Santo Stefano a Vienna abbiamo tenuto un concerto per la pace, a cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale: giovani provenienti da Paesi che un tempo si combattevano hanno suonato insieme il finale della Seconda sinfonia Resurrezione di Mahler e la Missa in tempore belli di Haydn. In prova ho chiesto ai ragazzi di affrontare queste pagine con un’intensità tutta particolare, per dire in musica che è possibile che l’Europa in futuro sia più unita».
Cosa che i ragazzi sperimentano già nel loro suonare insieme?
«Fare musica con loro per me è motivo di speranza e di ispirazione: è bello avere di fronte un’orchestra così fresca, piena di energia, ansiosa di apprendere e suonare. Certo, molti di loro, vista la giovane età, non hanno grande esperienza, ma è una gioia vederli crescere durante le prove: sono giovani, creativi, ma al tempo stesso molto professionali e attenti ad eseguire al meglio ciò che chiedo».
Per Bolzano ha impaginato un programma dedicato all’opera lirica. Come mai?
«Un omaggio all’Italia, ma anche un modo per permettere ai ragazzi di confrontarsi con un repertorio che per molti di loro, freschi di studi e con esperienze prevalentemente sinfoniche, è pressoché sconosciuto. Ho collaborato con Abbado, apprezzo il lavoro di Riccardo Muti sul melodramma e voglio provare a dare ai musicisti la possibilità di imparare quello che sta dietro le note usate per raccontare una storia: capire le radici di un musicista è importante per poterlo restituire al meglio, capire di cosa parla un libretto è fondamentale per dare la giusta espressione alle note. In questo senso Giuseppe Verdi ha raggiunto vertici che nessun altro ha toccato. Peccato che non tutti lo comprendano ancora».
Cosa intende?
«Il musicista di Busseto, insieme a Wolfgang Amadeus Mozart, è stato il più grande compositore d’opera di sempre. Dicendo questo non voglio sminuire altri autori, penso in primis a Wagner. Ma il compositore italiano ha saputo raccontare come nessun altro l’animo dell’uomo. In questo sono totalmente d’accordo con Muti e con la sua battaglia in difesa di Verdi che i tedeschi spesso fraintendono, considerando a torto la sua una sorta di musica leggera, da operetta, senza capire la grande passione che c’è dentro: ogni nota di Verdi ha una profondità enorme e dice come il musicista sia il vertice di una tradizione tutta italiana che ha le radici nella scuola napoletana – così come Mozart – e passa da Rossini, Bellini e Donizetti».
Di Verdi proporrà pagine da Don Carlo e Mabceth.
«Storie di uomini. Così come quelle raccontate da Richard Strauss nel Rosenkavalier. Dirigerò la suite dell’opera che trasuda gioia, passione per la vita facendo intravedere, dietro il destino degli uomini, la mano del Creatore».
Otto fratelli, diversi dei quali musicisti, come Rainer, kappelmeister dei Wiener. Sei figli. Il dono della fede.
«Ogni giorno mi confronto con questa dimensione che ci impone di andare oltre il contingente: la gratitudine che dobbiamo avere per essere nati, la speranza per ciò che ci aspetta dopo la morte. Ogni volta che dirigo la Seconda sinfonia Resurrezione di Mahler mi fermo a meditare sulle parole del finale: “Risorgerai mia polvere. Credi, non sei nato invano, non hai sofferto invano”. Ogni uomo ha pensieri e sofferenze, ma essere in relazione con Dio, confidare in lui ci fa capire il nostro ruolo nel mondo. E questo ci regala la vera felicità, quella che non è data dalle cose materiali, dal divertimento, ma che è qualcosa di più grande, di più puro, di più profondo».