Musica. Maneskin divisi tra rock, punk e melodia italiana
I Maneskin, da sinistra Ethan Torchio, Victoria De Angelis, Damiano David e Thomas Raggi
Se il primo album è quello dell’exploit, il secondo quello della conferma, il terzo diventa davvero la prova del nove per una delle band più popolari del momento a livello mondiale come i Maneskin. Insomma, sarà vera gloria? Questo spiega l’attesa di RUSH! il nuovo lavoro della band romana dal 20 gennaio su tutte le piattaforme digitali e in differenti versioni fisiche.
Sarà anche per questo che Damiano David (voce), Victoria De Angelis (basso), Thomas Raggi (chitarra) ed Ethan Torchio (batteria) in questo album registrato fra Los Angeles, Italiae Tokyo ci mettono di tutto e di più: ben 17 canzoni (di cui tre in italiano) dove non hanno paura di essere fracassoni ed eccessivi sul versante rock anglosassone, mentre, riescono ad essere riflessivi e poetici nelle ballate, soprattutto quelle italiane che hanno testi ben più articolati. C’è un mix di talento, furbizia e manierismo nel rock dei Maneskin come è inevitabile che sia dato che i gloriosi (e purtroppo anche devastanti, vedi capitolo droghe) anni del rock anni 60 e 70 sono tramontati.
I Maneskin hanno il pregio di portare musica molto ben suonata, ben cantata e perlomeno vitale ai ragazzi, strizzando l’occhio al rock d’antan e al punk (Damiano ci catapulta su un palco dei Sex Pistols anni 80 con la ruvida Cool Kids). Ma si ha sempre la sensazione che stiano recitando la parte delle rockstar trasgressive, tutto “sex, drogue and rock ad roll”. Cosa che non sono, ma che viene promossa nella loro immagine studiata a tavolino e nei testi di alcuni brani inglesi piuttosto banalozzi, anche se frutto di collaborazioni eccellenti Made in Usa. Ma loro stessi dimostrano di essere consapevoli di fare parte di un grande circo in cui muoversi con attenzione, date le critiche esplicite alla falsità dello star system («this place is a circus / questo posto è un circo» cantano in Gossip, accompagnati da Tom Morello dei Rage Against Machine) o come in Supermodel. E poi spunta fuori l'impegno con la protesta corale di Gasoline contro chi si crede il re del mondo (il riferimento implicito è a Putin): ma riesce a dormire con tutte le vite che sono nelle sue mani? si domandano.
Il pregio della loro musica è di innestare una giocosità italiana sulla seriosità del rock americano in ritornelli che funzionano (si passa dal la-la-la-la di Feel al Bla-Bla-Bla) anche se corrono il rischio di diventare ripetitivi. Poi arrivano i brani made in Italy e i Maneskin diventano degli altri. Il caismatico Damiano smette di spingere sul roco e ritrova la melodia italiana. E, soprattutto, una bella scrittura Mark Chapman vede in colui che uccise John Lennon il prototipo del fan stalker e pericoloso, ne La fine si cerca di «trovare luce prima che tutto sia spento». Poi arriva un gioiellino come Il dono della vita, una ballata sul riscatto e la rinascita: «io rinasco dalla mia cenere /per non vedere più mia madre stanca / ridarle il dono della vita». Insomma, viva la mamma. O, meglio, Mammamia.