Agorà

Teatro/2. . Mandragola fra lazzi e pessimismo

FULVIO FULVI venerdì 1 aprile 2016
MILANO Scritta da Niccolò Machiavelli nel 1518, ovvero cinque anni dopo Il principe, e pubblicata nel 1524, La mandragola è imperniata solo sugli aspetti più biechi della natura umana: l’implacabile egoismo, l’avidità, il potere e l’inganno esercitati a danno di altri per affermare i propri interessi. Fini loschi che trovano nella corruzione il loro “mezzo” necessario e ideale. Sembra una descrizione della società di oggi, presentata quasi sempre come un “buco nero” che inghiotte tutti, persino gli uomini di fede. Non si salva nessuno nella commedia del fiorentino, manca l’eroe positivo, e non c’è spazio nemmeno per un briciolo di speranza volendosi beffare persino di Dio. Perché, machiavellicamente, «ciascuno ha il suo prezzo», da pagarsi in moneta o in natura. L’attore e regista Jurij Ferrini nel mettere in scena la commedia rinascimentale al Teatro Carcano di Milano, ha pensato al malcostume italiano, ai furbi che dominano la politica (e non solo quella) e lo ha ripescato cercando di renderlo moderno, attuale. Come? Con giacche, cravatte, un abitino rosso passione e ombrelli in stile Singing in the rain, facendo l’occhiolino alla contemporaneità pur rimanendo nell’aulica Firenze del 1504. Un solo atto per riassumerne i cinque più prologo dell’originale, ma con i testi in toscano antico inalterati e le scenografie mobili, di cartone, dipinte di un bianco e nero piatto e privo di sfumature, come in una fiaba surreale. E qui sta, forse, il difficile dell’operazione: mischiare tradizione e modernità, muoversi tra verosimile e allegoria senza lasciare troppe separazioni, amalgamando i contrasti. Non bastano, secondo noi, gli ammiccamenti al pubblico o i formali rimandi all’odierno, la fuga di Bach o una canzone hip hop, soprattutto quando si tratta di un capolavoro della letteratura, e della lingua, cinquecentesca come La mandragola. L’oggetto va manipolato con prudenza. Si è voluto cominciare come un talk show, con le musiche di Via col vento, ma poi ci si è lasciati andare anche a gag da Oggi le comiche, con sedie sottratte alla seduta di messer Nicia, giochi di parole, smorfie e scapaccioni (veri) alla Brutos. Frizzi e lazzi, invenzioni sceniche al limite della farsa. Una scelta che non convince anche se il ritmo c’è e si ride abbastanza. E alla fine si mastica amaro. D’altra parte La mandragola è così, perché il senso del machiavellico imbroglio è rimasto lo stesso. La storia la conosciamo: Callimaco è innamorato di Lucrezia, moglie dello sciocco e ricco leguleio Nicia (un efficace Ferrini). Aiutato dal servo Siro e dall’astuto amico Ligurio, Callimaco, fingendosi medico, riesce a convicere il marito della sua amata che l’unico modo per avere il figlio tanto desiderato è quello di somministrare alla donna una pozione di mandragola, radice dalle portentose proprietà. Ma è solo uno stratagemma per conquistarla, grazie anche alla mediazione di fra’ Timoteo, sempre pronto a metter sotto le mani di ognuno la sua pesante cassetta della “limosina”. Anime perse, nessuna virtù. Vince il pessimismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Milano, Teatro Carcano LA MANDRAGOLA Fino al 10 aprile