Apertheid. Nelson Mandela, l'autobiografia della riconciliazione
Un murale che effigia Nelson Mandela nella township di Johannesburg Soweto (Ap Photo/Ben Curtis)
«Con la libertà vengono le responsabilità, e io non oso indugiare: il mio lungo cammino non è ancora finito». La monumentale autobiografia di Nelson Mandela Lungo cammino verso la libertà, uscita per la prima volta in Italia nel 1995, si concludeva con questa frase evocativa, dalla quale prende avvio l’attesissimo seguito di quel libro che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, ispirando anche una recente riduzione cinematografica. Uscito in inglese nell’autunno scorso, Dare Not Linger, il nuovo capitolo sulla vita di uno dei più grandi statisti del XX secolo sta per uscire anche in traduzione italiana col titolo La sfida della libertà. Come nasce una democrazia (Feltrinelli). Racconta gli anni che seguirono la caduta del brutale regime dell’apartheid, dal 1994 al 1999, nei quali Mandela divenne il primo presidente nero del nuovo Sudafrica democratico. Una fase storica cruciale di transizione dopo decenni di dittatura che non era stata finora approfondita, e la cui rilettura appare particolarmente utile anche alla luce degli ultimi sviluppi della politica sudafricana. Mandela cominciò a lavorare al manoscritto di questa seconda autobiografia alla fine del mandato presidenziale ma alla sua morte, nel 2013, la prima bozza del testo non risultava ancora conclusa. Aveva scritto di suo pugno circa settantamila parole, prima che il venir meno delle forze non gli impedisse di continuare.
L’arduo compito di portare a termine il lavoro è stato affidato, d’intesa con la Fondazione Nelson Mandela, a una delle voci letterarie più autorevoli del moderno Sudafrica, il poeta e romanziere Mandla Langa, che fu a sua volta incarcerato e poi esiliato dal regime di Pretoria negli anni 70. Usando i manoscritti originali, gli appunti e le interviste alle figure politiche di spicco di quegli anni, oltre a materiale d’archivio ancora inedito, Langa è riuscito a ultimare il progetto incompiuto di Mandela anche in vista del centenario della sua nascita, che sarà celebrato il 18 luglio prossimo. Dal libro non emerge soltanto la sua evoluzione da rivoluzionario a statista, da simbolo della resistenza a politico impegnato nella gestione del potere dopo un’estenuante lotta per la libertà. Suddiviso in capitoli tematici, ciascuno dei quali analizza la trasformazione dello stato, dell’economia e della società sudafricana, il volume racconta anche come Mandela interpretò il suo ruolo di primo presidente del Sudafrica post-apartheid, la sua strategia politica solcata da proverbiali gesti di riconciliazione, l’incessante impegno a difesa di quella rivoluzione democratica di cui era stato protagonista, lo stretto controllo dell’economia e dell’apparato di sicurezza dello stato.
«Mi ritengo fortunato – scrive Mandela – perché la Storia mi ha permesso di prendere parte alla transizione del Sudafrica verso una nuova era per la quale abbiamo gettato le fondamenta insieme». Dalle pagine affiora l’immagine di un leader politico d’altri tempi, abituato a rompere le regole e le convenzioni, a non seguire quasi mai i discorsi scritti, un presidente che poteva insistere per rifarsi il letto in un albergo o pulirsi le scarpe da solo, come ci mostra un’eloquente foto che lo ritrae durante uno spostamento in aereo. C’è poi il gigantesco profilo politico, con risvolti ed episodi inediti che evidenziano i rapporti non sempre idilliaci con il suo predecessore alla presidenza, il bianco Frederik de Klerk, l’uomo che ordinò la sua scarcerazione e nel 1993 fu poi insignito del Nobel insieme a lui. Quando de Klerk gli scrive, chiedendogli di impegnarsi per porre fine alle violenze nella provincia sudorientale del Kwazulu-Natal, Mandela gli risponde a muso duro: «Piuttosto che suggerire incontri privi di utilità, preferirei avere un tuo contributo su come affrontare il retaggio del disumano sistema di apartheid del quale sei stato uno degli ideatori». Ma la battaglia più grande che Mandela si trova a dover affrontare nel Sudafrica post-apartheid è quella contro la diffusione della piaga dell’Aids, una sfida che lo vedrà infine soccombere e che in anni recenti, come in un fatale contrappasso, gli porterà via anche l’unico figlio maschio. Nei suoi anni da presidente iniziano a scoppiare anche i cosiddetti “Aids scandals” legati ad altrettanti casi di corruzione: nel 1996 la campagna Serafina II per diffondere l’educazione all’Hiv tra le masse travolse l’allora ministro della salute Nkosazana Dlamini-Zuma.
Quando la donna gli presentò le dimissioni, Mandela le respinse attirandosi non poche critiche. Sarebbe stato il preludio di un futuro sempre più a tinte fosche, destinato a deflagrare già all’epoca di Thabo Mbeki, il successore che lui stesso aveva designato. Ancora oggi molti suoi detrattori ritengono che Mandela sia almeno in parte responsabile del disastro dell’Aids in Sudafrica – la cui diffusione è cresciuta in modo esponenziale proprio tra gli anni Novanta e Duemila – e degli altri mali di un paese che da tempo versa in una grave crisi, sempre più falcidiato dagli scandali e dalla corruzione. Nella prefazione a La sfida della libertà, Langa rievoca i canti della folla riunita alla conferenza del 1997, quella che vide Mandela lasciare per sempre la presidenza dell’African National Congress. «Qualunque cosa fosse accaduta da quel momento in poi, il Sudafrica non sarebbe stato mai più lo stesso, perché non esisteva nessun altro come lui». E forse proprio il suo idealismo e la sua statura morale gli impedirono di rendersi conto della modestia e della meschinità dei suoi successori. Leggendo questo libro si comprende quanto il Sudafrica odierno abbia tradito molti degli ideali propugnati da Mandela, e quanto la sua gigantesca eredità politica, intellettuale e umana rappresenti un monito per le generazioni future.