Agorà

Calcio. Qualcuno difenda Roberto Mancini: ha solo salutato gli sceicchi

Massimiliano Castellani venerdì 25 ottobre 2024

Roberto d’Arabia torna a casa. Con il pareggio da sabbia in bocca con il Bahrain si è conclusa l’avventura di Mancini alla guida della nazionale dell’Arabia Saudita. Un grande tackle nel deserto, quattordici mesi di dune mosse, sbuffando impaziente in panchina per 18 partite ufficiali con appena 7 vittorie, 5 pareggi e 6 sconfitte. Fuori agli ottavi in Coppa d’Asia, con i suoi allievi, scarsini, eliminati dalla Corea del Sud che in confronto alla compagine saudita è una corazzata mondiale. E a proposito di mondiale, nonostante tutto l’Arabia è ancora in corsa per la Coppa del 2026, terzo posto a pari punti (5) con l’Australia, ma il 59enne Mancio ha mollato il colpo e anche l’assegnone che copriva il contratto faraonico siglato nell’agosto del 2023 con su scritto una cifra da oltre 50 milioni di euro, incassabili fino al 2027. Le dimissioni con rescissione consensuale gli faranno mettere in valigia tra i 15-20 milioni di buonuscita, da ripartire con i suoi fedelissimi dello staff che l’hanno seguito in questa prigione dorata per la mission impossibie: provare a far diventare una selezione poco più forte di San Marino una piccola potenza in ascesa.

Cronaca di un flop annunciato, ma con questi arabi non potrà certo fare meglio il futuro ct (Tite?) e bene hanno fatto, prima di Mancini, i richiestissimi Fabio Capello e Paulo Roberto Falcao a declinare l’offerta e continuare a vivere in emisferi più umani, dove per percepire regolare stipendio non è necessario il soggiorno obbligatorio di almeno sei mesi e dove le donne possono tranquillamente entrare allo stadio, senza incorrere nelle sentenze da corte marziale. Ma tutto questo ora non interessa al popolo rabbioso e anzi aizza le iene da tastiera che sui social attaccano il Mancio quasi fosse un traditore della patria, quando alla fine se proprio ha “rubato lo stipendio”, come insinuano dal bar sport di Riad fino a quello della natia Jesi, al limite l’ha fatto piazzando il colpo gobbo a casa dei ricchi, anzi ricchissimi. Quindi un perfetto Robin (Hood) Mancini, che è vero, ha fatto sborsare 25-30 milioni di euro ai magnati arabi, ma questi statene certi sono spiccioli per sceicchi che collezionano calciatori e allenatori come fanno con le Ferrari e i pregiati volatili della falconeria reale.

Ognuno è libero di dire la sua, qui siamo in Italia, Europa, ma il linciaggio social-mediatico verso il Roby nazionale ci sembra un po’ eccessivo. Un esempio? Massima stima per il collega Gabriele Romagnoli fine dicitore anche di cose di calcio, ma la sua splendida poetica da Navi in bottiglia dinanzi al “caso Mancini” si traduce Torpediniere in molotov. “Niente svela un uomo quanto la sua disposizione a mettere il cartellino del prezzo all’alluce nell’obitorio della propria dignità”, scrive sulla prima pagina di Repubblica rivolgendosi al pur venalissimo ma comunque non ancora decrepito Mancini. Piovono pietre su un campo di pallone. Neppure ai peggiori politici ladroni e spudorati del secolo scorso, e di questo corrente, è stato riservato un simile trattamento. La squadra dei bastian contrari a tutti i costi non mi rappresenta, ma per una volta voglio entrarci, giusto il tempo di una difesa, neanche d’ufficio, ma solo il tentativo di far fischiare il triplice fischio su questo gioco al massacro, da uno contro tutti. L’uno ovviamente è Roberto Mancini e tutti sono quelli che fino al giorno prima che annunciasse la sua fuga nell’eldorado arabo lo trattavano ancora come il golden boy della Samp dell’era Mantovani. Tutti o quasi, fino a quel momento celebravano ancora la splendida vittoria dell’Europeo sotto Covid, le lacrime e l’abbraccio di Wembley con il fratello di sangue e di cuoio Gianluca Vialli, proponendo ancora il ritratto del ragazzo arrivato dal nulla, dalla provincia marchigiana, fino a sedersi e trattare con i veri potenti della terra: gli arabi filorenziani.

Un oratoriano di talento il Mancio, ct salito sul tetto d’Europa con una squadra, quella azzurra, dallo spirito oratoriale e altrettanto talentuosa, fino a quando non ha spento la luce e si è fumata la seconda qualificazione di fila ai Mondiali. Da quel momento blackout su tutta la linea, compresa quella telefonica con il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina. Il filo diretto tra Mancini e la Nazionale si era spezzato e per riannodarlo ha pensato, male, che l’unica cura fosse quella a base di petrodollari. Ma il combustibile incendia e adesso ecco che il Mancio si ritrova da solo, illuminato dal falò delle sue vanità. Ma lui che ha fede, e che non manca mai di fare il suo pellegrinaggio mariano a Loreto come a Medjugorje, sono convinto che in cuor suo sa di aver peccato di presunzione e di eccesso di avidità. Sa anche che, come gli capitava a San Siro quando allenava l'Inter, che a un mister serio e professionale oltre che vincente, qual è, sono vietati i “vaffa” plateali all’indirizzo del pubblico pagante della tribuna. E invece c’è ricascato anche in Arabia. A volte il Mancio predica bene e razzola male e si comporta alla stregua del suo ex figlioccio Mario Balotelli che, ironia della sorte rientra in gioco (è fatta con il Genoa?), mentre Mancini esce di scena, ma solo da quella araba. E a Riad, salutando, si è comportato come san Francesco con il Sultano, diplomatico come un buon cristiano. “In Arabia ci vuole pazienza, soprattutto adesso che i giocatori locali non sono più titolari nei club. I dirigenti sono anche molto bravi ma non esiste ancora grande esperienza per un calcio ad alto livello. La qualificazione sarebbe stata operazione difficile per le difficoltà create dall'arrivo di tanti stranieri. Non avevo neanche il 50% dei titolari in campionato", ha detto Mancini. Allora, tecnicamente io sto con il ct italiano, umanamente comprendo ma non approvo e torno dalla parte del più sobrio e poetico Romagnoli, quando scrive che dall’aereo del volo di rientro di Mancini “la nuvola di sabbia che si alzerà al decollo non si porterà via niente”. Ecco, siccome parliamo del nulla, forse è il caso di chiuderla qui. Palla al centro.