«Fa quel che può, quello che non può non fa»: erano tutte uguali le pagelle degli alunni del maestro Alberto Manzi perché, diceva, non si possono classificare gli errori di un bambino altrimenti lo si spaventa. Perciò, al posto dei voti, un timbro. A lui e alla sua avventura umana e professionale, Raiuno dedica la miniserie
Non è mai troppo tardi (lunedì 24 e martedì 25 febbraio in prima serata), prodotta dalla BiBi Film di Angelo Barbagallo e da Rai Fiction. Diretta da Giacomo Campiotti, la miniserie racconta la vita di Manzi, sin dalla prima cattedra nel carcere minorile, un posto "scomodo" nel quale viene mandato appena diplomato. Lì, in un’enorme sala senza sedie né banchi, unico maestro di 94 ragazzi tra i 9 e i 17 considerati, come si usava allora, senza speranza, Manzi riesce a trovare le parole per farsi ascoltare e per insegnare ai ragazzi a leggere e scrivere. È solo il primo passo di una carriera che lo porterà a laurearsi in pedagogia ma a scegliere, a fronte di una brillante carriera universitaria, la scuola elementare. Il regista Giacomo Campiotti spiega: «Alberto Manzi è un maestro che ai ragazzi non insegna nozioni ma a "pensare". Lavora con loro per formare uomini liberi, capaci di scelte libere. E, per farlo, lotta contro ogni ostacolo». Anche con il provveditorato che non comprende e non tollera il suo anticonformismo e il suo rifiuto a mettere i voti ai suoi alunni. Nel 1960, mentre continua ad insegnare nelle scuole elementari, la decisione di mettersi ancora una volta a servizio di chi non ha un’istruzione. Stavolta, però, i suoi alunni non sono (solo) bambini ma, soprattutto, adulti e anziani. Più di un milione di italiani che, nelle difficoltà del dopoguerra, non sanno ancora leggere e scrivere. La loro scuola si chiama
Non è mai troppo tardi ed è un programma televisivo voluto, spiega la fiction, personalmente da Aldo Moro. Il Paese deve essere alfabetizzato e la Rai, nei suoi primi anni di vita, non può sbagliare. E non sbaglia, affidando il programma a Manzi, l’unico, tra i tanti maestri elementari che si sono proposti, che teorizzava la disubbidienza intelligente di fronte a certe ottuse regole della scuola e della società. Il risultato ha del miracoloso: un milione e mezzo di persone impara a leggere e scrivere grazie alle sue appassionate lezioni televisive seguite con interesse sempre crescente nei punti di ascolto allestiti nelle parrocchie, nelle camere del lavoro o nei bar. Ad interpretare Alberto Manzi è Claudio Santamaria: «È un personaggio che mi ha commosso appena ho letto la sceneggiatura. Per tutta la vita ha cercato di risvegliare le persone, aprire loro la mente, e lottato per ridare dignità a chi non aveva possibilità di studiare». L’attore, che sarà a Sanremo nella finalissima per presentare la fiction, si è documentato: «Nei rari momenti in cui si autocelebrava, diceva: "Il mio modo di insegnare è avanti di 50 anni alla scuola. Visto come sta la scuola oggi, direi che stava avanti almeno 100 anni. Lui aveva capito che la guerra nasceva dall’ignoranza e, attraverso la scuola, ha cercato di creare una società migliore. Nelle sue classi c’era posto anche per chi suggeriva perchè lui voleva una società in cui ci si aiutasse a vicenda».