Le ricerche storiche di Giorgio Vecchio non solo hanno documentato la presenza dei preti nel moto di liberazione, ma affermano che la Resistenza stessa non può essere interpretata come un movimento esclusivamente armato: «Oggi siamo più consapevoli che alla figura del partigiano armato bisogna affiancarne delle altre: altri partigiani, con fazzoletti non rossi bensì verdi o azzurri; e poi donne, tante donne, di ogni classe sociale; e cittadini con gli abiti sdruciti e senza idee politiche particolari; e ancora, preti, frati e suore». Anche per monsignor Ennio Apeciti è un peccato che il contributo «delle religiose non solo alla Resistenza, ma più ampiamente all’aiuto a migliaia di oppressi, prigionieri, profughi, ebrei che vissero quel tempo drammatico non sia ancora conosciuto, anzi sia coperto da uno strano 'silenzio'. Occorre una correzione di rotta con lo scopo di rompere lo strano silenzio e, se possibile, rendere giustizia a tante donne dimenticate, tra queste la schiera silenziosa delle religiose». Dopo l’8 settembre 1943 in molte località del Paese si registrarono gesti significativi di solidarietà e di resistenza nei conventi e negli istituti religiosi femminili, atti che esprimevano l’intento di contenere la violenza, di assistere in varie forme la popolazione o i partigiani militanti in clandestinità, facendosi carico del destino di estranei, sconosciuti, ebrei, sfamando e proteggendo, nascondendo persone messe a rischio dalla guerra. Un autentico maternage. Così la giornalista Barbara Garavaglia documenta una scheggia di storia ancora sconosciuta, di matrice umbra. Furono molti infatti gli ebrei in fuga, i soldati allo sbando, gli sfollati, i partigiani, i perseguitati politici che trovarono rifugio nei sotterranei delle clarisse di San Quirico di Assisi. Nel «Libro delle memorie» del convento madre Maria Giuseppina Biviglia annotava: «Le persone che si rifugiavano da noi furono per grazia di Dio nei nostri riguardi tutte oneste, rette, buone e anche religiose, tanto i cattolici quanto gli ebrei. Venne qualche fascista durante il governo Badoglio e dopo l’entrata degli Americani; qualche socialista... era proprio un’arca di Noè». Suor Grazia Loparco – docente della Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione – ha pubblicato uno studio sull’assistenza prestata dalle religiose di Roma agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. («Gli Ebrei negli istituti religiosi a Roma 1943-1944», in Rivista di storia della Chiesa in Italia). Per la prima volta vi si documenta che a Roma furono 4329 gli ebrei salvati nei 200 istituti religiosi nella città, di cui 133 erano femminili e vennero preservati dalle incursioni naziste da appositi cartelli predisposti dalla Santa Sede. Lo studio ha evidenziato «l’apporto singolare delle religiose per nascondere gli ebrei a Roma tra l’autunno del 1943 e il 4 giugno 1944, quando cessò l’emergenza. La Santa Sede aveva provveduto a garantire gli stabili dinanzi al governo e poi incoraggiò l’ospitalità e la misericordia ». Suor Albarosa Bassani di Vicenza ha pubblicato invece un lavoro su «Le suore Dorotee durante la seconda guerra mondiale», nel quale documenta atti di coraggio e di aiuto alla popolazione, agli sbandati, ai partigiani. Per suor Albarosa «durante la guerra le suore Dorotee hanno compiuto atti di valore civile finora rimasti sconosciuti anche alla storia locale. Centinaia di donne consacrate misero a repentaglio la loro vita per aiutare chi aveva bisogno, dai malati alle povere pazze, alle orfanelle, all’umile gente dei quartieri romani». Un capitolo significativo è quello della partecipazione delle Dorotee alla Resistenza. Presso le carceri di San Biagio di Vicenza suor Demetria Strapazzon era chiamata l’«angelo di San Biagio» e la «mamma dei detenuti» perché – precisa suor Albarosa Bassani – vigilava «sulle donne, preparava alla morte i condannati alla fucilazione, raccoglieva i loro desidene. ri per trasmetterli alla famiglia. Ai detenuti partigiani che ritornavano torturati, fra questi qualche sacerdote, lei preparava un caffè o un calmante, medicava loro le piaghe e li incoraggiava». La figura di suor Demetria è incredibilmente simile a quella di suor Enrichetta Alfieri che operava nel carcere milanese di San Vittore ed era pure chiamata dai detenuti politici «l’Angelo e la mamma di San Vittore». Suor Enrichetta passava tra le stanze dell’infermeria del carcere e nelle profonde tasche del suo grembiulone teneva medicinali, soprattutto «biglietti» preziosi che riuscivano a salvare vite uma- Cambattimento casa per casa per liberare una città italiana durante gli ultimi mesi della Resistenza. Sotto, dall’alto: le suore del carcere di San Vittore a Milano; l’avviso bilingue che attestava la protezione vaticana sui conventi; lapide delle Clarisse di Assisi Venne scoperta e arrestata rischiando la fucilazione e l’internamento nei lager nazisti. A Milano suor Alfieri è la figura di religiosa più nota, ma nella città e in Lombardia operarono nel nascondimento altre religiose come suor Teresa Scalpellini e suor Giovanna Mosna, che prestarono servizio di infermiere all’Ospedale Maggiore di Niguarda e tramite una rete clandestina di antifascisti collaboravano con medici e infermiere ad assistere i detenuti politici, organizzare la loro fuga, raccogliere materiale sanitario per partigiani ed ebrei. Madre Donata, superiora delle Poverelle dell’Istituto Palazzolo di Milano, è un’altra figura di religiosa sconosciuta; sotto la sua guida, con il tacito consenso delle autorità ecclesiastiche, il Palazzolo divenne il soggiorno obbligato degli ebrei che transitavano da Milano avviati clandestinamente in Svizzera. Madre Donata venne scoperta e incarcerata a San Vittore. Sempre a Milano, nell’istituto Casa di Nazareth, gli ebrei venivano seguiti da una suora strettamente legata al segreto con tutti. In qualche circostanza, collaborando con sacerdoti, fu possibile accompagnare gli ebrei oltre confine. Ma la Casa di Nazareth ospitò anche il Comando dei Volontari della Libertà e vi soggiornarono l’onorevole Gianfranco Mattei e il generale Raffaele Cadorna, che avevano l’incarico di organizzare e gestire le ultime fasi dell’insurrezione. Dalla cronaca della Casa Nazareth, datata proprio 25 aprile 1945, si legge: «Quante grazie per il nostro Istituto, per le nostre Case e specialmente per la nostra diletta Nazareth! La nostra Reverendissima madre generale Rosa Chiarina Solari, certo per ispirazione divina fine strumento che Dio adoperò per compiere i suoi disegni di misericordia, fu richiesta d’un locale ove di tanto in tanto i Capi dello Stato maggiore del Comitato di Liberazione si radunavano per studiare i loro piani di rivolta. In casa nessuno era al fatto della cosa, che per prudenza non fu comunicata a nessuno». Non mancarono episodi di segno contrario, ma per suor Grazia Loparco la presenza delle religiose nella guerra fu «un’esperienza concreta della carità di donne che si sono chinate sulle povertà, sulle debolezze e sulle infermità di persone bisognose di aiuto».