Madonna dello Scoglio. Fratel Cosimo: la fede è toccare Gesù, non teoria e belle parole
Fratel Cosimo, il fondatore del santuario della Madonna dello Scoglio, in Calabria
«Quando vi metterete a scrivere farete una preghiera alla Madonna dello Scoglio e lo Spirito Santo vi farà tornare alla mente le cose importanti». È a tutti noto che fratel Cosimo non rilascia interviste. Quelle comparse in questi anni o non sono state autorizzate o sono il frutto di colloqui estemporanei. Anche con "Avvenire" non ha fatto eccezioni. E quando il cronista, nel corso di un incontro che si stava rivelando di grande intensità, è tornato a chiedere di poter prendere appunti, lui ha risposto col 'voi' di cortesia, come si usa in Calabria, affermando che sarebbe stato lo Spirito a far tornare alla memoria il necessario. Quel che segue non è che il frutto del rispettoso accoglimento di quella perentoria richiesta: non un’intervista, ma il racconto di un incontro reso attraverso lo Spirito.
Quel giorno allo Scoglio, seduto accanto a fratel Cosimo c’era padre Rocco Spagnolo, suo direttore spirituale e superiore dei Missionari dell’evangelizzazione. C’erano anche il rettore del santuario, padre Raffaele Vaccaro insieme a padre Michele Tarantino, Cosimo Franco, Enzo e sua moglie, una coppia molto vicina al Santuario e c’era Loredana, non nuova agli incontri col mistico calabrese. Del resto andare allo Scoglio, eretto a Santuario diocesano dall’attuale vescovo di Locri-Gerace Francesco Oliva, che ne ha affidato la cura ai Missionari dell’evangelizzazione e spesso qui viene a celebrare, è un’avventura spirituale da vivere in relazione, da condividere.
Si sale dalla parte forse più arida della Calabria ionica. La strada è stretta, tortuosa, segnata da buche e smottamenti. Passa attraverso calanchi, rocce sedimentarie, fichi d’India e radi alberi che crescono nei punti meno esposti al sole, ai venti salmastri e agli incendi, che di tanto in tanto, nei mesi torridi, divorano la poca erba che cresce su una terra povera di nutrimenti.
È qui che a partire dall’11 maggio 1968 il pastore e contadino Cosimo Fragomeni avrebbe avuto una serie di 4 apparizioni mariane. All’epoca aveva 18 anni, come tanti suoi coetanei che nel resto d’Italia e d’Europa stavano alimentando le storiche proteste sessantottine. Con la sua famiglia viveva nella povertà in una casa isolata della frazione Santa Domenica del comune di Placanica (Rc). Oggi, raccontando di quegli anni, ricorda soprattutto il quotidiano lavoro della sopravvivenza: la terra da strappare all’aridità, le poche capre e pecore da curare, la scuola che è stato costretto ad abbandonare: «Non avete idea di quanta fatica ho fatto in quegli anni».
Quell’11 maggio, come tante altre volte, tornava dal pascolo a testa china con un fascio di erba da foraggio sulle spalle. Sulla grande pietra di calcare scuro (lo Scoglio), situata poco distante da casa, intuisce una luce accecante. Alza il capo e vede la figura luminosa di una giovane donna, una sua coetanea, che gli consegna il primo di quattro brevi messaggi, in parte simili a quelli di Fatima, in cui si invita alla preghiera del rosario e, fra le altre cose, si chiede di fare di quel luogo un centro di spiritualità dove la gente possa sentirsi accolta.
«Ero solo e subito non ho capito. Ho avuto paura. Il primo istinto è stato di scappare. Una cosa del genere era fuori da ogni mio pensiero. Poi mi sono sentito chiamare più volte, non per nome, ma ho capito di dover tornare indietro. Da quel momento ho provato un desiderio infinito di compassione. Il cuore pieno d’amore». Per alcuni anni, però, Cosimo non sa come mettere in pratica quelle richieste. Lavora e prega incessantemente, anche dieci, venti rosari al giorno... «A un certo punto, in un attimo, lo Spirito Santo mi ha reso tutto chiaro».
Così è cominciata la vicenda di fede, di mistica, di ascesi e di accoglienza di questo uomo all’apparenza minuto e fragile, oggi terziario francescano, segnato dalla penitenza, dal digiuno (totale due volte a settimana) e dall’amore per le tantissime persone che da cinquant’anni salgono fin qua. «In questo luogo il Signore ha voluto aprire una finestra verso il cielo affidando a me il compito di ribadire la fede nel Dio della Bibbia, che è Dio creatore, Dio amore, Dio di misericordia, Dio giudice, Dio che guarisce. Se si lascia da parte solo una di queste cose non si parla del Dio della Bibbia».
Fratel Cosimo insiste molto sulla fede edulcorata di questi ultimi tempi. Sottolinea che troppo spesso il Dio dei teologi parla alla mente col linguaggio e i modi della filosofia, «ma la fede, quella vera, passa per i sentimenti, per la relazione d’amore, che sono cose che appartengono a tutti, non solo a chi è istruito». Il linguaggio colto serve in certi contesti «e spesso è necessario, ma è solo un contorno perché la fede non è la teoria delle belle parole. La fede viene dal cuore. Dio è relazione, si fa toccare, si fa sentire. Il Dio che non si tocca non è il Dio di Gesù. Troppe volte anche nelle nostre celebrazioni, negli incontri parrocchiali non consideriamo che il Dio dei Vangeli è un Dio in relazione, che mostra il suo volto, che ci accoglie e ci dà da mangiare. Con Gesù possiamo parlare e lui ci ascolta. Lui passa nella nostra vita come passava sulle strade della Palestina. Ci chiama, ci aspetta, ci sorride. Questo è il Dio che ci cambia, che ci fa uscire dall’individualismo. Non il Dio vuoto, distante, ideologico di tanti libri, di tante celebrazioni».
Il fluire delle parole in fratel Cosimo è travolgente. Sembra quella finestra aperta verso il cielo che la Madonna gli avrebbe detto di realizzare allo Scoglio così come lei stessa si è mostrata a lui mezzo secolo fa. A tratti, però, la sua voce diventa sconsolata, quasi dolorosa e anche nei suoi occhi trovi i segni della sofferenza: «La fede è una cosa che cambia la vita radicalmente. Rende davvero capaci di fare le cose che Gesù ha promesso. Ma quella che solitamente viviamo nelle nostre comunità non è fede». Un attimo e gli occhi tornano a illuminarsi e di conseguenza le parole. «Io so che queste cose sono vere: la fede guarisce, la fede caccia il male dal cuore degli uomini, la fede porta con sé la felicità, la piena realizzazione degli esseri umani».
In questi frangenti fratel Cosimo, che continua a vivere nella piccola casa di famiglia trasformata in luogo di ascesi e severo eremitaggio, ritorna il ragazzo di tanti anni prima. Quello che con martello e scalpello scava una nicchia in alto, nella pietra su cui la donna delle apparizioni ha posato i piedi e vi colloca una statua della Madonna acquistata con i sacrifici della sua famiglia a Carrara. Quello che costruisce la prima cappella, che diventa un riferimento, con celebrazioni che raccolgono migliaia di persone sul piazzale antistante (prima un misero terrapieno), che dà vita ai primi gruppi di preghiera, oggi sempre più numerosi nel mondo: ce ne sono anche negli Stati Uniti, in Australia, nelle Antille Francesi, in Svizzera, Russia, Uzbekistan... In Polonia è appena stato inaugurato il tredicesimo.
La gente sale allo Scoglio perché sente il fluire di questa verità senza infingimenti. Qui porta i suoi problemi, chiede indicazioni sulla strada della felicità. Persone che cercano, spesso per altri, cose concrete, bisogni essenziali: il lavoro, l’amore, il perdono, il figlio che non arriva, la guarigione dalle influenze malvagie, dalle cattiverie della vita. Quando non possono inerpicarsi per la strada dello Scoglio mandano lettere. Arrivano a sacchi che il postino lascia fuori dalla porta. Ogni lettera ha chi la apre, la legge e ne porta la richiesta davanti alla Madonna. Padre Rocco che segue il santuario da tanti anni, dice che fratel Cosimo avrà incontrato almeno due milioni di persone e che allo Scoglio si vive un continuo fluire di grazie e di eventi straordinari, peraltro in gran parte documentati.
Accanto a lui l’ascetico francescano si schermisce: «Io cosa posso fare? Chiedo loro di avere fede, li invito a rivolgersi alla Madonna per arrivare a Gesù, apro vie di speranza, garantisco le mie preghiere, prego con loro. È vero, le guarigioni qui sono tante, ma è solo una goccia nel mare. È la Chiesa tutta che deve tornare a credere nel Gesù totale, che guarisce e perdona, che mette in relazione, che rende felici riempiendo la vita di senso, rendendo capaci di portare amore come ha fatto lui». Un po’ quello che diceva a Paravati, non troppo distante da qui, la serva di Dio Natuzza Evolo: «A chi viene da me, indico Gesù e la Madonna, lo porto nel cuore e prego sempre per lui...».