Agorà

PREISTORIA. Ma siamo tutti emigrati dall’Africa

Yves Coppens giovedì 21 maggio 2009
Dopo un periodo un po’ confu­so, sembra che oggi le grandi linee della nostra storia si stia­no definendo e che, tanto per co­minciare, le famose rotelle della cul­la dell’umanità che tanto divertiva­no l’abate Breuil si siano definitiva­mente fermate. Africani da milioni di anni, i nostri ascendenti si sarebbero trovati, ver­so la fine del Miocene, infeudati alla foresta e alla savana boscosa che, dal­l’Atlantico all’Oceano Indiano, attra­versavano l’Africa equatoriale: il ce­dimento della Rift Valley, accompa­gnato da movimenti di innalzamen­to dei bordi, avrebbe diviso in due parti diseguali la popolazione dei no­stri antenati; frattura semplicemen­te tettonica inizialmente, divenuta barriera ecologica in seguito a una diversificazione delle precipitazioni. La nostra storia è allora quella ben nota dell’evoluzione delle popola­zioni insulari. Tra la Rift Valley e l’O­ceano Atlantico, i cugini dell’Ovest mantennero o migliorarono l’adat­tamento all’ambiente arboreo; tra la Rift Valley e l’Oceano Indiano, i cu­gini dell’Est lottarono per sopravvi­vere in un ambiente che si stava im­poverendo di alberi e che, aprendo­si, li scopriva. I primi vengono chia­mati Panidi, i secondi Ominidi. Louis Leakey, Camille Arambourg, Mary Leakey, Bill Bishop, Francis Clark Howell, Richard Leakey, Jean Chavaillon, Maurice Taieb, Donald Johanson, Jon Kalb, John Desmond Clark, Timothy White, Hidemi Ishi­da e io abbiamo raccolto più di 2.000 resti di questi Ominidi, i quali si chia­mano, in un primo tempo Australo­piteci, e poi Homo habilis. Assunse­ro innanzitutto una posizione eretta, per poi dotarsi di un cervello sempre più grande e sempre meglio vasco­larizzato. A partire da 3 milioni di anni fa, ac­canto a loro comparvero i primi og­getti tagliati al mondo, che rivelano l’idea di una riflessione, di un ap­prendimento, di una complicazione della società e di uno sviluppo della comu­nicazione tra i suoi membri. Nel momen­to in cui, nella stessa regione che si dissec­ca, il cavallo correva più veloce e l’elefante mangiava cibo più co­riaceo, come dimo­strano le zampe dell’u­no e i denti dell’altro, l’ominide acquisisce una posizione eretta, riflette, produce e si or­ganizza per difendersi meglio. Quando ci si proietta di colpo nelle grandi società contempora­nee e se ne misura la complessità delle strutture, la den­sità delle comunicazioni, l’impor­tanza dell’apprendimento, il livello della riflessione, si rimane meravi­gliati e sbalorditi. Che strana storia la nostra, nata forse, in un clima in cambiamento, dall’obbligo di cam­biare con esso per sopravvivere! È stata in ogni caso questa grande av­ventura paleoantropologica a rivela- re in vent’anni come la nostra origi­ne fosse unica, africana, tropicale e molto antica, e che l’evoluzione del­l’ambiente naturale aveva influen­zato in modo considerevole e in­dubbiamente decisivo la nostra evo­luzione. Forse perché cacciatore, Homo ha­bilis divenne più mobile dei suoi pre­decessori; forse a causa dell’aumen­to della popolazione, dovette perlu­strare nuovi territori e presto stabi­lirvisi. Lo si incontra allora, a poco a poco, in tutta l’Africa, ma anche in una vasta porzione dell’Eurasia; l’An­tico Mondo si riempì come un vaso. Quest’uomo, il cui corpo cresceva di pari passo con la testa, scoprì la sim­metria, diversificò la propria attrez­zatura, organizzò l’habitat e rendeva al cranio dei propri morti un omag­gio che oggi si definirebbe barbaro. Mentre finiva di conquistare il mon­do, si avviò così morfologicamente verso di noi, culturalmente verso so­cietà sempre più complesse, utensi­li sempre più efficaci, riti di inuma­zione che abbiamo la sensazione di comprendere meglio e un’espressio­ne estetica che ci confonde. Laddo­ve la sua raccolta era fruttuosa, si sta­bilì in modo più duraturo e iniziò a poco a poco a seminare per racco­gliere di più; furono problemi di con­tabilità che lo portarono a rappresentare le quantità at­traverso getto­ni, e poi impri­mendone le forme nell’ar­gilla fresca, a ridurre a due dimensioni ciò che ne ave­va tre; la scrit­tura affonda così le proprie radici in un passato di più di 12.000 anni. La trasforma­zione dei me­talli, la lavora­zione del rame tra i 6.000 e i 7.000 an­ni fa, seguita da quella dello stagno e del ferro 3.000 anni fa, fecero com­piere all’economia e alla demografia un nuovo balzo; probabilmente c’e­rano allora sulla terra poco meno di 100 milioni di esseri umani. Oggi sia­mo 5 miliardi, le nostre comunica­zioni sono istantanee e la nostra so­cietà sarà presto mondiale.